Servizi aziendali

10 Giugno 2019

Il mercato dei provider di welfare aziendale non sarà più lo stesso

Aviva

Dopo l’operazione Edenred-Easy Welfare è facile prevedere una lenta ma inesorabile rivoluzione: c’è chi comprerà, chi sarà comprato, chi si trasformerà per resistere o per vincere. Acquisizioni, trasformazioni operative e nuove strategie per il presidio del mercato. L’analisi di un esperto: Giovanni Scansani. Prima parte

La recente acquisizione di Easy Welfare (EW)Provider italiano leader dei “portali” dedicati alla gestione del Welfare Aziendale (WA) – messa a segno dalla multinazionale francese Edenred (quella dei buoni pasto Ticket Restaurant, per capirci) ed alcune iniziative di riposizionamento strategico già assunte (o in procinto di esserlo) da parte di altri importanti operatori testimoniano l’ingresso del mercato delle piattaforme in una nuova fase del suo sviluppo. Uno scenario nel quale la competizione sarà destinata a svolgersi su un piano più elevato e sotto tutti i profili: tecnologici e gestionali, ma anche culturali ed operativi.

Tempo di grandi decisioni per chi è ancora alla finestra mentre il treno passa e per chi è rimasto ancorato a posizionamenti che sembrano ormai in via di rapido superamento.

Il matrimonio dell’anno

Partiamo dal più recente avvenimento, quello che ha come protagonista l’emettitore Edenred.

Sui dettagli economici dell’operazione, è stato chiarito da Edenred, proprio con un’intervista a Luca Palermo su wewelfare.it che il valore attribuito alla società acquisita – EW – è stato di 53 milioni di euro. Il prezzo dell’acquisizione è stato effettivamente su questa cifra?  C’è chi dice che siano stati sborsati 40 milioni di euro. Comunque una cifra sorprendente: nel 2018 EW  ha generato ricavi per 11 milioni di euro, con un utile netto di poco superiore a 2 milioni e porta in dote 600.000 lavoratori registrati sulle sue piattaforme, impiegati in 700 aziende clienti.

Per il momento quel che è certo, almeno stando alle dichiarazioni della società acquirente, è che tutto procederà esattamente come prima, con due distinte aziende, due piattaforme, due team dedicati. Le due società, però, pian piano si dovranno necessariamente integrare sino ad arrivare alla disponibilità di un’unica piattaforma, un’unica e più ampia rete di partner di servizio ed una sola struttura dedicata al WA alla quale l’expertise delle persone di EW farà senz’altro comodo.

I volumi in gioco e quelli che potranno essere generati in conseguenza dell’operazione, per non dire delle sinergie che potranno essere sfruttate d’ora in poi (Edenred è attiva in molti àmbiti del vario mondo dei benefit), offrono al protagonista di questa acquisizione l’occasione per allineare il suo posizionamento nel settore del WA al ruolo di indiscusso leader che lo ha sin qui visto primeggiare anche nei restanti settori in cui opera, a cominciare da quello tradizionale dei buoni pasto nel quale è il numero uno sin dalla sua comparsa in Italia, avvenuta alla metà degli anni ’70 del secolo scorso. L’acquisizione, in fondo, serve anche a questo, posto che EW aveva sin qui difeso senza problemi la sua posizione di leadership resistendo all’ingresso di decine di competitori, tra i quali la stessa Edenred.

Quali saranno gli effetti dell’acquisizione, nel dispiegamento della sua sottostante strategia, ce lo dirà il tempo, tenendo sin d’ora conto del fatto che la progressiva riduzione di EW ad un brand di una società che deve la sua notorietà ad un business diverso (ancorché ascrivibile al mix dei servizi di WA) consentirà ai concorrenti concentrati unicamente nella gestione di portali di sottolineare maggiormente tale loro caratteristica rispetto alla congerie dei player del settore (e il primo a poter cogliere questo aspetto sarà il numero due del mercato, Eudaimon, che dopo l’acquisizione del suo principale concorrente si posiziona, in prospettiva, come il più dimensionato operatore unicamente specializzato nei servizi gestionali per il WA).

Di maggiore interesse è, invece, comprendere quali potranno essere per il mercato dei Provider le conseguenze non solo di questa acquisizione, ma anche di altri avvenimenti recenti e di ulteriori iniziative che sembrano profilarsi all’orizzonte nel medio, se non già nel breve periodo.

Un passo indietro

Per inquadrare meglio le nostre riflessioni dev’essere anzitutto ricordato che quella effettuata da Edenred non è la prima operazione di questo genere che il settore registra. C’era già stata quella che aveva visto come “preda” il Provider milanese DoubleYou (nato, combinazione, dall’idea di ex manager di Muoversi, precedente denominazione di EW) la maggioranza del cui capitale è stata acquisita nel 2016 da Zucchetti, società lodigiana ben nota nel settore del payroll.

In tale operazione “giravano” numeri ben diversi perché la società acquisita aveva dimensioni più contenute rispetto a quelle di EW, anche se, sul piano delle sinergie commerciali, quella effettuata da Zucchetti non aveva (e non ha tuttora), almeno potenzialmente, nulla da invidiare rispetto a quella posta in essere da Edenred considerando che il portfolio delle aziende servite dalla software house di Lodi è numericamente superiore a quello (cumulato) ora espresso dal “doppio playerEdenred-EW.

Diversa è certamente la brand awareness che singolarmente Edenred e EW possono vantare nello specifico mercato del WA e dei connessi servizi, ma non inferiore è quella di Zucchetti rispetto al target dei decisori, ossia le direzioni HR delle aziende nelle quali essa è radicatissima con i suoi software gestionali dedicati all’amministrazione del personale (dei quali le funzionalità della piattaforma per il WA rappresentano un logico completamento).

Le due operazioni sembrano andare nella direzione di una “razionalizzazione” del mercato dei Provider come da qualcuno auspicato (AIWA, ad esempio, che dei principali Provider è l’associazione nazionale: si veda l’intervista del presidente Emmanuele Massagli su wewelfare.it). In effetti, se la prima di tali operazioni – che ha lasciato in piedi l’attività della società acquisita – aveva come finalità la creazione di sinergie commerciali utili ad entrambe, la seconda fa ritenere ai competitor che l’effetto finale sarà quello di aver eliminato il loro principale concorrente. Tuttavia, come evidenzierà un prossimo aggiornamento della (sino ad oggi ancora) prima ed unica analisi quantitativa dedicata al mercato italiano dei Provider (quella pubblicata nel mese di agosto del 2018 da ALTIS-Università Cattolica di Milano, curata dal Prof. Luca Pesenti ed alla quale chi scrive ha collaborato ricostruendo la dimensione e la composizione del settore), il numero dei player è tutt’altro che in fase di assottigliamento e non solo perché è aumentato (passando da 78 ad oltre 90 realtà attive), ma anche perché – ed è ciò che forse più conta – il settore ha iniziato a dare anche i primi segnali di alcune “mutazioni genetiche” che potranno incidere sulla sua fisionomia complessiva.

Come si muovono i Provider?

Le modificazioni cui alludiamo riguardano alcuni fenomeni per comprendere i quali è utile ricordare, anzitutto, che questo mercato è caratterizzato dalla presenza di tre distinte tipologie di operatori:

  • Provider “puri”: proprietari di una piattaforma e unicamente attivi (dunque specializzati nella misura massima) nella progettazione, nella vendita e nell’esecuzione di servizi di supporto al WA;
  • Provider “ibridi”: proprietari di una piattaforma, ma concentrati su un diverso core-business rispetto al quale la gestione dei servizi di supporto al WA rappresenta un utile e sinergico completamento della loro offerta caratteristica;
  • Provider re-seller”: non proprietari della piattaforma, concentrati su un diverso core-business (pur sempre sinergico con i servizi di supporto al WA) e che per poter competere nel settore hanno stretto una partnership (con un Provider “puro” o un Provider “ibrido”) in forza della quale agiscono “come se” disponessero di un proprio “portale”. Appartengono a questa terza tipologia anche alcune società che agiscono in apparenza come Provider “puri”, ma che, in realtà, sono considerabili come dei “reseller specializzati” in quanto unicamente attive nella rivendita (sia pure con un loro marchio) del “portale” di un altro Provider (“puro” o “ibrido” che sia).

Proprio nel terzo dei cluster ora descritti (che è, poi, anche quello assai più numeroso) si sta registrando un fenomeno interessante (ancorché non sorprendente ed anzi del tutto prevedibile): il passaggio di alcuni operatori “re-seller” al diverso (e più solido) posizionamento sul mercato come Provider “ibridi”. Non solo: si è registrato anche un passaggio dalla posizione di Provider “re-seller” (specializzato) a quella di Provider “puro”.

In sostanza alcuni operatori, originariamente solo rivenditori di portali di terzi, hanno interrotto la partnership con il Provider (“puro” o “ibrido”) che aveva sin qui messo a loro disposizione la piattaforma ed hanno optato per la costruzione di una propria infrastruttura web e di quel che ne consegue sul piano organizzativo (rete commerciale specializzata, servizi di back-office, attivazione di accordi diretti con i partner di servizio).

Del resto, una volta compresi gli aspetti gestionali ed operativi collegati al business delle piattaforme, se si vuole guadagnare spazio di manovra e crescere in autonomia in un settore a sua volta in forte sviluppo, la scelta di fare finalmente da sé diventa una tentazione molto forte. Oltretutto, costruire una propria piattaforma rappresenta un investimento molto più contenuto rispetto all’acquisizione di un Provider già attivo.

Ovviamente il dilemma make or buy è incentrato sul prezzo delle due soluzioni, ma proprio le caratteristiche del mercato dei Provider consentono, in realtà, di tenere aperte le due possibilità non dando sempre necessariamente per scontata la prima e ciò in considerazione del fatto che per operare in maniera autonoma, ma anche in tempi ragionevoli rispetto alle opportunità attualmente offerte dal mercato, occorrerà mettere in conto anche l’effort (non indifferente) collegato alla strutturazione dell’organizzazione necessaria a vendere e a gestire i servizi resi tramite il portale.

La soluzione “make” ha, poi, dalla sua anche un possibile plus di tipo prudenziale: non espone l’operatore (o lo espone in misura minore) rispetto al rischio – che in Italia è sempre dietro l’angolo – rappresentato dalle possibili modifiche della disciplina lavoristica e di quella fiscale che possono (anche negativamente) impattare sui servizi dei quali ci stiamo occupando.

Mutazioni genetiche e flat tax

Di una tale criticità è già possibile fare degli esempi sulla base di ciò che questo Governo sta meditando e quindi chiedersi: come impatterà sul sistema delle deduzioni/detrazioni e dei benefit la manovra che dovrebbe condurre alla flax tax? Sarà approvato il disegno di legge con il quale si vorrebbe innalzare (da 3.000 a 5.000 euro) l’entità del Premio di Risultato (PdR) ed abbassare al 5% l’aliquota IRPEF agevolata (attualmente pari al 10%) applicabile agli importi premiali?

Se l’innalzamento della soglia massima non favorirà la diffusione dei premi agganciati agli incrementi di produttività per il semplice fatto che le nostre imprese (massimamente PMI) non stanziano importi di tale entità (lo rilevano un buon numero di dati ivi inclusi quelli di fonte ministeriale), l’ulteriore abbattimento dell’aliquota IRPEF renderà del tutto superflua l’opzione della “welfarizzazione” del PdR perché la convenienza fiscale si ridurrebbe grandemente (senza tacere il fatto che la conversione continuerebbe ad essere associata alla perdita integrale del versamento dei corrispondenti contributi previdenziali).

Per tornare alle “mutazioni genetiche” cui abbiamo fatto cenno, dev’essere evidenziato il fatto che il loro impatto potrà essere senza dubbio significativo perché ha riguardato Provider “re-seller” di rilevante dimensione economica ed operativa che potrebbero fare da “apripista” per altre (e non poche) realtà del tutto similari (anche per un possibile “effetto emulazione”). Il fenomeno in questione ha riguardato, ad esempio, l’agenzia per il lavoro Randstad che ha dismesso il ruolo di “re-seller” ed ora offre sul mercato una sua piattaforma proprietaria corredata da una serie di servizi (voucher e card) del tutto similari a quelli offerti dai restanti Provider.

Un’analoga “mutazione” è intervenuta anche nella struttura dei servizi offerti da WelfareBit, realtà di ben più contenute dimensioni, ma il cui caso è interessante in quanto la sua natura operativa (quella di un “re-seller” specializzato) è stata da non molto tempo trasformata in quella di un Provider “puro”. Altri possibili riposizionamenti potrebbero riguardare una grande banca e forse un’altra agenzia per il lavoro, almeno stando ai “si dice” del mercato dei Provider.

 

Giovanni Scansani, fondatore e ceo di Valore Welfare

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