Servizi aziendali

11 Luglio 2019

Il welfare aziendale e i suoi nemici (e tutte le diffidenze della Cgil)

Dal seminario organizzato gli scorsi giorni a Roma da Cgil, una visione all’insegna di “Più rischi per opportunità”

Il difficile rapporto tra Cgil e welfare aziendale non si è risolto. Per ora. Una conferma sofferta è quella cui abbiamo assistito durante il prezioso seminario Bilateralità. Welfare e contrattazione, esperienze europee a confronto organizzato dalla Cgil, con il vertice della confederazione, dal segretario nazionale Maurizio Landini in giù. L’orrore non ancora cancellato è verso le “soluzioni individualistiche tramite il welfare, specialmente sul versante della sanità” sono le parole di Delia Nardone, responsabile nazionale Bilateralità per la Cgil. Il concetto è quello espresso con chiarezza: “A nostro avviso la possibilità che il welfare aziendale sia in grado di promuovere servizi dettati dalla domanda si può determinare solo se a monte si sviluppa una indagine interna su quelle che sono le esigenze dei lavoratori legate anche al loro ciclo di vita. Questo di solito non avviene e si preferisce un’offerta più o meno tipizzata. Peraltro i cataloghi di servizi proposti determinano anche fenomeni di orientamento al consumo che normalmente poco vengono evidenziati, ma che invece sono elementi da non sottovalutare”.
La paura del consumismo (anche di quello sanitario, presunto almeno) e dell’individualismo restano un problema: l’effetto di possibili diseguaglianze prodotte dagli accordi aziendali in cui il welfare aziendale trova il suo miglior sviluppo, l’ostilità nei confronti di ogni spazio negoziale e contrattuale assorbito dalla legislazione fanno il resto.
Welfare aziendale rischi e opportunità? Più rischi per opportunità, questo è il mantra ripetuto dai vertici Cgil, con qualche leggero distinguo, che proviene soprattutto dalle categorie – chimici in testa – che per primi hanno sperimentato soluzioni efficaci di previdenza complementare e di sanità integrativa.
Molto utile l’analisi proposta da David Natali, professore alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, che ha condotto un’analisi su Welfare occupazionale in Europa: modelli e tendenze. Un confronto sulla spesa sviluppata nei servizi di welfare aziendale, sui modelli di riferimento (in relazione all’inclusività e alla leggerezza delle soluzioni, ma anche in relazione alla copertura più o meno frammentata, più o meno affidata al volontarismo o alla obbligatorietà) e sulle possibili diseguaglianze. Natali ha elencati gli elementi di rischio riguardo al welfare occupazionale, materia da “maneggiare con cura”, secondo l’espressione del professore. Nelle sue conclusioni Landini non ha focalizzato il tema del welfare aziendale e/o occupazionale, tuttavia non si è sottratto dal segnalarne “gli effetti di elemento di differenziazione di reddito”, quindi potenzialmente produttore di diseguaglianze. It’s a long way to Tipperary, come cantavano i soldati nella prima Guerra mondiale: è lunga la strada per tornare a Tipperary, che in questo caso potrebbe essere il lungo cammini richiesto alla Cgil per lasciare definitivamente Tipperary e ogni nostalgia per un mondo del lavoro passato – collettivizzato, rigorosamente contrattualizzato a livello nazionale, in qualche modo socializzato e massificato – che non tornerà mai più.

Marco Barbieri

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