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27 Aprile 2023

Rapporto Censis-Eudaimon. Alberto Perfumo: “oltre i fringe benefit, serve un welfare inclusivo”

Alberto Perfumo

8 lavoratori su 10 non conoscono i dispositivi di welfare aziendale a loro disposizione, mentre i giovani sono i più attenti a ritenere il welfare uno strumento indispensabile. Commentiamo i risultati del 6° Rapporto Censis – Eudaimon con Alberto Perfumo, AD di Eudaimon

Dal 6° rapporto Censis-Eudaimon emerge che gli strumenti del welfare aziendale sono conosciuti approfonditamente soltanto dal 19,8% degli occupati italiani. Il 45% ha dichiarato di conoscerli a grandi linee, mentre addirittura il 35,1% non ne ha la minima conoscenza. Riguardo alle tipologie di servizi e prestazioni più desiderate, i dati svelano che il 79,4% dei lavoratori vorrebbe un supporto personalizzato per la conoscenza del welfare, il 79,2% migliori e maggiori opportunità per conciliare vita familiare e lavoro, il 79,1% integrazioni di reddito per spese alimentari, il 78% supporto per risolvere problemi burocratici nel rapporto con la pubblica amministrazione, mentre il 68,1% desidera una consulenza per il supporto psicologico. Di questa mancanza di conoscenza, e quindi di consapevolezza, ne parliamo con Alberto Perfumo, AD di Eudaimon.

Nella nostra ultima intervista, l’anno scorso, ragionavamo con suo figlio Edoardo Perfumo sui modelli di comunicazione integrati e successivi al periodo pandemico, su come dovevano adattarsi alle esigenze del presente e come potevano usufruire dei fondi del PNRR. Considerando i dati emersi dalla vostra analisi, sembrerebbe che non sia stato fatto molto. Come spiega e introduce questi risultati?

Continuano ad esserci luci e ombre nell’ambito del welfare aziendale. L’urgenza di integrare i salari nel nostro paese ha fatto sì che il welfare potesse agire come leva di incremento del reddito, tema che si è molto sviluppato nella seconda metà del 2022. In questo scenario, l’innalzamento della soglia dei fringe benefit a 3mila euro e l’apertura del Governo nel permettere di usare questo fondo per il pagamento delle bollette è stato sicuramente decisivo in tempi di crisi come questi. Quindi, non possiamo di certo negare l’importanza della valenza economica del welfare. Tuttavia, come dimostra il sesto rapporto, le persone non hanno bisogno solo di questo: a prescindere dai benefit, il welfare migliora la qualità della vita perché dà valore al lavoro dei professionisti, ed è su questo aspetto che le aziende devono insistere nella relazione con il personale.

Più welfare ma su quali fondi? Si potrebbe accedere a quelli del PNRR, sempre che riusciamo a recuperare il ritardo negli obiettivi da raggiungere…

Finora non abbiamo visto bandi pubblici che possano essere intercettati, l’ultimo è stato Conciliamo. Tendenzialmente poi, la complessità di questi bandi è tale che crea un limite per le imprese piuttosto che un’opportunità, per Conciliamo infatti c’era una soglia di ingresso, soprattutto di complessità, che di fatto escludeva le piccole medie imprese.

Quali sono le misure welfare maggiormente richieste e da quali target di dipendenti?

È necessario fare una distinzione tra il tema dei benefit, come supporto al reddito, da quello del welfare, perché gli obiettivi differiscono e di conseguenza vengono pianificati dalle aziende in maniera altrettanto diversa. I cosiddetti fringe benefit hanno il maggiore gradimento, e sono spendibili in base alle esigenze economiche, ma il miglioramento della qualità della vita è prioritario e interessa tutti e tutte. Per questo parliamo di welfare inclusivo, la cui risposta deve essere il più ampia possibile e comprendere tanto l’assistenza agli anziani, e ai caregiver che se ne occupano, quanto i giovani e i temi per loro cruciali, anche quando non ne sono consapevoli, come per esempio la cultura della previdenza. La scala dei valori dei Millennials, e della Gen Z, è totalmente diversa da quella delle generazioni precedenti, e nel rapporto abbiamo evidenziato come la soddisfazione di queste priorità (il 43% dei giovani ritiene il welfare uno strumento imprescindibile ndr), diventa elemento competitivo e attrattivo per le realtà alla ricerca dei talenti.

L’abbiamo spesso sentita parlare di due componenti di welfare che lei indica rispettivamente come “salvaguardia igienica del potere d’acquisto” e “soluzione-servizio”. Può spiegarci meglio cosa intende per ognuna?

Salvaguardia igienica del potere d’acquisto e soluzione-servizio sono quelle che in Eudaimon chiamiamo le due anime del welfare aziendale.

La prima si riferisce all’aspetto meramente economico e di integrazione al reddito, parliamo quindi dei fringe benefit: questo è il welfare di sicurezza, quello retributivo che tutela di fronte al caro-vita. È un modello ormai assodato e incentivato – più o meno consapevolmente – dalle ultime modifiche normative. Quello della sicurezza economica è un bisogno impellente e il welfare aziendale si è dimostrato uno strumento efficace ed efficiente per dare risposte concrete: fornisce risorse ai lavoratori senza sovraccaricare le imprese e sostenendo i consumi.

La seconda componente del welfare aziendale, quella della soluzione-servizio, è ciò che fa sentire la presenza dell’azienda, è quella che motiva i collaboratori e che si riferisce ai servizi di consulenza finanziaria, servizi medici, di previdenza integrativa e molto altro.

Ecco, questo è per noi il welfare aziendale inteso come strumento che migliora la qualità della vita, ma è necessario saper gestire ogni sottile diversità con un welfare che includa tutti: non potendo soddisfare ogni bisogno, l’azienda può offrire a tutti canali di accesso e opportunità.

Sempre per aggiornare un argomento già introdotto nel nostro precedente confronto: il welfare coach è una figura a cui ricorrono le aziende? Che capacità informativa e comunicativa possiede?

Distinguerei le due figure del welfare manager e del welfare coach. La prima è quella che guida, per conto dell’azienda, i piani di welfare ed è oggi indispensabile. A dispetto dei trend degli ultimi anni secondo i quali molti professionisti hanno ritenuto sufficiente partecipare a qualche convegno dedicato per dichiararsi esperti di welfare, è opportuno ribadire l’importanza di una formazione adeguata per una simile figura.

Poi c’è il welfare coach, figura-funzione che supporta gli utenti. Il cambio di prospettiva in tema welfare deve partire proprio da un professionista che sappia quali soluzioni devono essere applicate per soddisfare singole esigenze e dove poterle reperire, se all’interno dell’azienda stessa o fuori, se nel pubblico o nel privato, a questo serve il welfare coach. Il welfare coach ascolta, accompagna e orienta le persone e i piani aziendali devono essere improntati in base a queste indicazioni. Ma gli approcci attuali sono ancora top down, direi che siamo ancora in una fase di sviluppo.

Allora cosa manca da fare?

Rispetto all’integrazione del reddito dobbiamo mirare alla semplificazione e alla stabilizzazione delle regole: i 3mila euro di soglia per i fringe benefit di fine 2022 sono tornati ad essere 258 euro, un livello che non è mai stato così basso e nessuno sa come e quando saranno rialzati. L’instabilità di queste regole impedisce di programmare anche le misure più semplici, tanto per le aziende che per i sindacati. Inoltre, le regole, come accade in molti paesi europei, dovrebbero essere più chiare e snelle e perdere quegli appesantimenti un po’ “barocchi” che hanno da noi: servirebbe una nuova norma specifica sul welfare aziendale, che invece dipende ancora dal testo unico delle imposte sui redditi.

Per quanto riguarda invece il tema più importante, e pervasivo, del “welfare vero”, occorre aumentare cultura e consapevolezza, attraverso figure specializzate come il welfare manager e il coach e anche bandi mirati, soprattutto destinati alle PMI, che spingano soluzioni con cui le imprese possono stare vicino alle persone. Mi rivolgo ai decisori della politica quindi, affinché centrino l’obiettivo, insistendo strutturalmente sul modello del welfare state del nostro paese che ora non è affatto sostenibile e che ha bisogno di azioni capillari, che prescindano dall’emergenzialità.

Lucia Medri

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