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09 Maggio 2019

Landoor, il welfare aziendale si addice anche alle startup

Landoor è la startup che ha firmato negli scorsi mesi un accordo integrativo col sindacato FISASCAT-CISL. Ne parliamo con Adele Nardulli, Owner & CEO 

Il welfare aziendale fa la differenza anche nelle start up. Landoor nasce nel 2017, opera nel settore delle traduzioni e dei servizi linguistici tecnologici con una mission da perseguire finalizzata alla tecnologia human-to-human. L’azienda conta oggi 15 dipendenti e 43 professionisti (93% donne) che frequentano l’“ufficio-laboratorio”, come la definisce Adele Nardulli, Owner & CEO di Landoor Surl. La start up – nata dall’ esperienza trentennale di Trans-Edit Group – ha scelto di dotarsi di un piano di welfare aziendale – il programma Welldoor – improntato al diversity management, alla flessibilità e alla conciliazione vita-lavoro, con un occhio di riguardo alle sfide tecnologiche sostenute nell’orizzonte di quello che Nardulli considera “un nuovo umanesimo digitale”. Negli scorsi mesi Landoor ha firmato un accordo integrativo (che si avvale delle novità introdotte dalle Leggi di Stabilità 2016 e 2017) col sindacato FISASCAT-CISL e ha lavorato fianco a fianco con le rappresentanze sindacali al fine di stipulare un “piano equo di welfare vero” firmato da tutti i dipendenti, lasciando loro la scelta se convertire o meno il premio di produzione pecuniario in beni e servizi.

L’accordo integrativo firmato col sindacato in cosa consiste, qual è stato l’iter e quali sono le prospettive future?

In sede di accordo integrativo, abbiamo sempre chiesto, come azienda, il parere del sindacato e in questa occasione siamo andati più in là: anche grazie alla disponibilità del rappresentante sindacale, abbiamo lavorato per mesi congiuntamente per una stesura a quattro mani del patto, arrivando anche a condividere informazioni che un imprenditore in genere non ama divulgare: fattori economici e finanziari, condizioni di mercato e sostenibilità per l’azienda di una negoziazione economica del premio di risultato. Gli orari di lavoro sono all’insegna della flessibilità, per cui ciascun dipendente può organizzare la propria giornata lavorativa in ufficio o in modalità “lavoro agile”, gestendo in autonomia ferie, pause e permessi. L’adesione allo smart working da parte dei dipendenti è volontaria e regolata da un accordo individuale tra lavoratore e azienda. I servizi che offre Welldoor sono rivolti alla generalità dei dipendenti, non concorrono alla formazione del reddito e sono interamente detraibili dall’azienda.

Per i vostri piani aziendali di welfare, vi appoggiate a un provider, pensate di cercarlo e se sì, in base a quali fattori?

All’inizio dell’iter con il sindacato per la stesura dell’accordo integrativo, ci siamo impegnati a ricercare una piattaforma di flexible benefits che fosse più in sintonia con le nostre esigenze. Grazie al networking di Copernico (ndr business hub sito in via Copernico 38, a Milano ), abbiamo trovato proprio un paio di piani sopra i nostri uffici. I servizi offerti e la grande flessibilità della piattaforma, facilmente adattabile a una realtà piccola come la nostra, ci avevano convinti. I dipendenti hanno avuto modo di provarla, di valutare i servizi offerti e anche di incontrare direttamente il provider, in modo da sottoporgli ogni dubbio. Poi tra i dipendenti è prevalsa l’esigenza di quanti, pur apprezzando la proposta, preferiscono gestire il premio pecuniario in autonomia e libertà. Quindi al momento non ci appoggiamo a nessun provider ma questa rimane un’opzione percorribile e regolata dallo stesso accordo integrativo.

Avete un HR o un CEO che si occupa della programmazione e gestione dei piani di welfare?

Mio compito è occuparmi della programmazione e la gestione di Weldoor, per quanto riguarda invece la parte del piano incentrata sul fitness e sul benessere sono supportata dall’associazione sportiva che tiene i corsi nella nostra palestra, formata da istruttori e operatori molto competenti e diretta da un maestro del fitness, Davide Tumiotto e dalla sua collaboratrice, Marilena Piazza. Ma come per tutti gli altri aspetti della vita aziendale, anche il piano welfare è sempre aperto al contributo di idee da parte di tutti.

Attraverso quali misurazioni prendete in considerazione il benessere dei vostri dipendenti?

Ogni dipendente, in ogni momento, sa di poter varcare la soglia del mio ufficio e di poter parlare direttamente con me. Non sottovalutiamo l’importanza dei momenti più informali e questo favorisce l’orizzontalizzazione delle relazioni abbattendo le barriere gerarchiche e favorendo la trasparenza. Al posto dei superati e poco utili questionari, in forma più o meno anonima, somministrati periodicamente ai dipendenti, preferisco uno strumento più interattivo e persino ludico come la nostra “lavagna delle idee”, sulla quale ogni dipendente e collaboratore può scrivere una sua proposta. L’idea diventa visibile a tutti e può quindi essere facilmente condivisa oppure addirittura rilanciata o migliorata dai colleghi. Se l’idea piace e viene adottata in azienda, la persona che l’ha proposta ottiene un riconoscimento economico. Anche l’ambiente di lavoro deve essere accogliente, vivace e collaborativo, ricco di offerte concrete. Oggi abbiamo trovato casa nell’hub Copernico, dove non mancano occasioni di scambio e momenti ricreativi; qui gestiamo attività fitness, health e servizi salvatempo con la formula Weldoor. Lo smart working e la flessibilità non sono politiche di contenimento dei costi, ma sono due facce della stessa medaglia: il benessere della persona.

Quali sono state le vostre azioni per far fronte ai cambiamenti sociali e tecnologici?

Abbiamo perseguito attivamente l’innovazione per asservirla alle nostre esigenze, oltreché per restare competitivi. Per esempio quando negli anni ’90 un cliente americano ci chiese di attivare la nostra prima casella di posta elettronica per proseguire la collaborazione, dopo qualche tentennamento, iniziammo a usarla regolarmente per lo scambio dei file, liberandoci già allora dalla carta. Subito dopo passammo dall’analogico al digitale nella dettatura e trascrizione dei testi (modificammo noi stessi i pedali da collegare al pc per le allora dattilografe) e ci svincolammo anche dall’obbligo fisico di consegna delle cassette audio. Poi ci avventurammo nei big data di Internet per le ricerche e adottammo il desktop remoto per il collegamento casa-ufficio. Era l’applicazione più avanzata della tecnologia informatica nel settore delle traduzioni e, inconsapevolmente, avevamo creato uno smart working ante litteram evolutosi poi negli anni successivi con tutte le dotazioni digitali disponibili nel nostro settore, fino al cloud computing in tempi più recenti. Oggi, dopo tre anni di ricerca sostenuti dai fondi strutturali dell’Unione europea, abbiamo lanciato una piattaforma interattiva proprietaria che, se da un lato offre alla clientela un servizio avanzato h24, dall’altro consente la flessibilità oraria di chi gestisce il lavoro: se il progetto viene pre-impostato per procedere in automatico in propria assenza, si può uscire dall’ufficio alle 16, andare alla festa a scuola del figlio, tornare a casa e controllare che tutto sia in ordine.

Il 26 marzo scorso si è tenuto a Roma il Welfare Index PMI, cosa ne pensate?

Sempre più aziende, non solo i colossi americani ma anche le PMI di casa nostra, stanno diventando i laboratori di un nuovo paradigma che mette al centro le persone e che fa del profitto l’“effetto collaterale” di una visione più ampia, capace di condivisione e inclusione. È evidente come si stia muovendo dal basso, dagli imprenditori in primis, uno slancio valoriale che è venuto meno, insieme alle risorse finanziarie, nelle istituzioni centrali. Per me è da anni una scelta ineludibile ed è una formidabile motivazione a fare business in modo veramente nuovo.

Quanto è importante per voi la comunicazione e con quali realtà dialogate?

Sono convinta che condividere le best practice e le esperienze imprenditoriali virtuose ma, soprattutto, “fare rete” sia il primo passo nella direzione del cambiamento dell’intero tessuto sociale. L’esperienza di Landoor credo dimostri che questo cambiamento non è solo doveroso, ma anche possibile. In questo senso la comunicazione per noi è di vitale importanza: serve a veicolare, oltre a ciò che facciamo, come lo facciamo. I nostri interlocutori sono altre aziende dal business etico, associazioni, enti, università. In fin dei conti, in veste di traduttori e linguisti, abbattere le barriere e fare rete è la nostra vocazione.

Lucia Medri

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