Servizi aziendali

23 Gennaio 2023

Red Hat Italia: l’open culture che costruisce welfare

Red Hat Italia

Formazione, valorizzazione delle soft skills, cultura aziendale aperta e inclusività sono caratteristiche fondanti l’approccio open source di Red Hat Italia, software provider punto di riferimento per molte aziende delle Fortune 500. Ne parliamo con Aurora Simonetti, HR Business Partner di Red Hat Italia

Cos’è Red Hat Italia e come si colloca nell’orizzonte della digitalizzazione?

Red Hat Italia da quasi trent’anni fa della tecnologia e della sua open culture, due punti di forza. Ciò che la contraddistingue sono innanzitutto i principi dell’open source, e ha basato tutta la sua evoluzione organizzativa su trasparenza, collaborazione, community, meritocrazia, inclusione e formazione. Red Hat offre soluzioni diverse a seconda delle diverse maturità dei clienti circa le tematiche che riguardano la digital transformation.

Come impatta l’open source nell’ambito del welfare aziendale?

Da noi la gerarchia esiste ma viene riconfigurata all’interno di una dinamica che valorizza le opinioni di tutti e tutte, all’insegna dell’apertura mentale e dello scambio. Quando sono arrivata in Red Hat sono rimasta colpita io stessa da questo approccio egualitario e olistico. Red Hat inserisce i neo assunti in una mailing list chiamata memo list, che è globale e riguarda la sfera internazionale. Leggere i pensieri condivisi in questi thread è molto interessante ed è un aspetto indicativo della nostra cultura: si discute, insieme anche ai top manager, di quello che riguarda la strategia aziendale, oppure dei prodotti, ma anche di iniziative proposte direttamente dalle persone. Durante la pandemia, la memo list ha dato un contributo notevole nell’esposizione di dubbi, insicurezze, paure e fragilità alle quali ha dato risposta lo stesso CEO, in un dialogo diretto, aperto e trasparente condiviso con tutti e tutte. Anche quando c’è stato l’annuncio dell’acquisizione in IBM, in modo del tutto libero e democratico, sono stati espressi pensieri sia a favore del passaggio che contrari. Questa pluralità migliora il business, facilità l’innovazione e il cambiamento.

Academy e percorsi di formazione, in che modo favoriscono nuove assunzioni e trasversalità delle competenze? Mi riferisco sopratutto alle soft skills.

La trasformazione digitale non è solo una questione di tecnologia per portarla avanti è importante improntare una rivoluzione culturale che risponda a quello che ci richiede il mercato. Le skills devono essere allora aggiornate continuamente. Red Hat punta sulla formazione, sia interna, rivolta a tutti gli associati, che esterna, offrendo opportunità di inserimento lavorativo (da agosto 2022, l’offerta dei corsi gratuiti si è allargata a tutti i partner ndr). Fondamentale che le risorse valide rimangano in azienda, per questo, oltre alle ore di formazione tecnica agevoliamo la conoscenza e lo sviluppo delle soft skills. Oltre ai corsi in aula offriamo percorsi di mentoring, coaching, work shadowing e formazione specifica per i manager.

Quali piani di empowerment è importante predisporre affinché il personale femminile sia competente nelle materie STEM e abbia facilità di accesso alle carriere?

La popolazione aziendale è prevalentemente maschile, sono davvero poche le donne presenti anche perché quando apriamo una candidatura non rispondono profili femminili. Vogliamo quindi lavorare sempre di più alla presentazione delle carriere in ambito tecnologico, affinché possano essere accessibili, e lo facciamo a partire dalle scuole attraverso giochi, speech, testimonianze di donne role model in questo settore. Il ricambio generazionale non sarà immediato, ci vorrà del tempo ma è necessario strutturare delle attività che preparino questo cambiamento. A testimonianza di tale obiettivo, ricordiamo il progetto HackHer promosso dal Politecnico di Milano nelle classi quarte della scuola secondaria. A ogni evento partecipano cento studentesse di studi umanistici che, con tutor di supporto, sono chiamate a progettare un’app e a confrontarsi con le materie STEM.

C’è una relazione tra il fenomeno delle Grandi Dimissioni e quello del reskilling? Quest’ultimo potrebbe essere un modo per scongiurare l’abbandono del proprio lavoro?

Sicuramente c’è una forte correlazione e se quello delle dimissioni era prima era un fenomeno riguardante solo i Millenials, attualmente è diffuso anche tra i senior. Red Hat cerca di fornire una varietà di corsi che scongiuri l’abbandono del posto di lavoro e che possa facilitare il reskilling: ha molto più valore l’investimento interno piuttosto che andare a cercare altre figure.

Come intercettate questi bisogni?

Attraverso una survey annuale che comprende domande generiche ma anche specifiche sulla formazione, lo sviluppo, la carriera, il supporto dei manager, coadiuvata da incontri in presenza durante l’anno. Rispetto a questo, la formazione dei manager è determinante affinché le risposte che devono fornire al personale siano sì singolari, comprendano cioè gli aspetti individuali della persona, ma si distinguano anche per un approccio complessivo identificativo dell’azienda. Red Hat è stata avvantaggiata rispetto a questi modelli di welfare che altre realtà stanno implementando soltanto ultimamente.

Lucia Medri

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