Osservatorio corporate wellbeing promosso da JOINTLY, B Corp in collaborazione con TEHA Group, The European House Ambrosetti: l’86% delle aziende italiane lo considera molto (41%) o estremamente strategico (45%), anche alla luce dei fenomeni in atto nel mondo del lavoro e della sempre più diffusa difficoltà di reperire e trattenere talenti
Il paper dal titolo “Ma quale benessere? un framework per navigare nel complesso mondo del benessere nelle organizzazioni, tra welfare aziendale e corporate wellbeing” promosso da JOINTLY, B Corp in collaborazione con TEHA Group, The European House Ambrosetti si basa su una survey che ha coinvolto 120 CEO e imprenditori, integrata successivamente con interviste a HR Director e una ricerca documentale sui modelli di gestione del corporate wellbeing in Italia.
IL CORPORATE WELLBEING NON è ANCORA STRUTTURATO
Il fatto di non poter contare su una strategia mirata rischia, però, di vanificare l’impegno delle aziende nel campo del benessere organizzativo in mancanza di quegli elementi di ascolto, comunicazione e misurazione che sono fondamentali per garantire l’efficacia degli investimenti fatti.
Il 32% dei 120 CEO di grandi aziende coinvolti nello studio dichiara, infatti, di non avere definita una struttura definita di corporate wellbeing, mentre il 46% ha previsto singoli interventi dedicati al benessere nella propria people strategy e solo il 22% afferma di poter contare su una strategia integrata di corporate wellbeing finalizzata a obiettivi di benessere organizzativo.
La presenza o meno di una strategia integrata per il benessere organizzativo varia anche in base alle dimensioni aziendali: se, infatti, solo il 3 imprese su 10 con meno di 250 dipendenti hanno avviato strumenti o programmi specifici, la quota sale a quasi 1 su 2 tra le aziende medio-grandi (250-500 dipendenti) e raggiunge 8 su 10 tra quelle con oltre 500 dipendenti.
IL WELLBEING MISMATCH
Nonostante oltre due terzi delle aziende (72%) dichiarino di aver significativamente aumentato i budget per interventi dedicati al benessere, solo 1 lavoratore su 4 riconosce un impegno concreto da parte della propria impresa in tal senso e meno del 10% afferma di sentirsi bene dal punto di vista psico-fisico e relazionale: il benessere organizzativo non dipende esclusivamente dalla quantità o dalla tipologia dei benefit offerti, ma soprattutto dall’approccio dell’azienda al tema del benessere dei lavoratori, da come lo colloca all’interno della propria people strategy, e di conseguenza come si organizza per realizzarlo, a partire dalle reali esigenze espresse dai dipendenti.
Solo il 15% delle aziende in Italia può contare su una strategia condivisa e una gestione interfunzionale del corporate wellbeing, mentre in meno di 1 caso su 2 i vertici aziendali sono coinvolti nelle decisioni che riguardano il benessere dei collaboratori.
ASCOLTO
Rispetto invece al tema dell’ascolto, il 50% delle aziende definisce le proprie strategie di benessere organizzativo in modalità top-down, senza un confronto interattivo per capire le reali esigenze delle persone. Tra gli strumenti tradizionali per rilevare il benessere percepito e raccogliere feedback strutturati da parte dei collaboratori, le survey periodiche rappresentano lo strumento più diffuso e vengono somministrate con una cadenza variabile tra i 6 e i 24 mesi. Le PMI privilegiano strumenti di ascolto come colloqui informali (63%) rispetto ai sondaggi (30%), mentre nelle grandi Imprese (>250 dipendenti) si utilizzano maggiormente i sondaggi (82%) piuttosto che i colloqui (37%). Questi strumenti, però, non sono integrati all’interno di una strategia di ascolto organizzativo e – come emerge dalle interviste ai responsabili Risorse Umane – le imprese mostrano una tendenza diffusa verso un approccio top-down, dove priorità e obiettivi sono definiti dal vertice aziendale.
COMUNICAZIONE
Anche riguardo la comunicazione, solo il 13% delle aziende afferma di avere una strategia dedicata alle iniziative di benessere, con un esiguo 7% dei dipendenti che ritiene che la comunicazione delle iniziative a supporto del benessere sia efficace e solo un 5% che dice di riuscire ad accedere all’offerta di servizi e soluzioni in maniera semplice e usabile.
MISURAZIONE RISULTATI
In Italia oggi solo 3 aziende su 10 hanno a disposizione dati per valutare e monitorare gli impatti delle strategie di benessere organizzativo.
Il 37% delle aziende ammette di non monitorare alcun indicatore di efficacia o di limitarsi a calcolarne i benefici in termini di risparmio economico fiscale, il 45% rileva solo livelli di utilizzo e soddisfazione mentre il 30% dispone di kpi per comprendere l’impatto sul benessere del collaboratore. Una percentuale ancora più esigua pari al 6%, infine, ha costruito metriche più evolute che includano anche i benefici per azienda (produttività engagement, assenteismo, ecc.) In molti casi ci si limita al monitoraggio del tasso di adesione alle attività proposte.
QUATTRO DIVERSI APPROCCI AL WELLEBEING
Welfare contrattuale: L’azienda che adotta questo approccio lega il concetto di benessere prevalentemente alla dimensione economica, limitando le proprie azioni alle tutele previste dalla contrattazione nazionale e/o integrativa aziendale.
Employee benefit: L’azienda che adotta questo approccio ha una visione di benessere prevalentemente economico, ma più ampia, e focalizzata su tutto ciò che aumenta il valore del total reward. Si concentra prevalentemente su tutti quei benefit monetari (es. buoni pasto, assicurazioni, previdenza complementare, flexible benefit) che che rendono più competitivo il pacchetto retributivo.
People caring e personal wellbeing: Per l’azienda che adotta questo approccio, il concetto di benessere diventa espressione di attenzione per la qualità della vita dei lavoratori, in ottica di sostegno alle esigenze personali e/o famigliari. L’organizzazione si fa carico di risolvere dei bisogni personali, comprendendo le ricadute che le difficoltà di tipo personale possono avere sulla prestazione lavorativa.
Corporate Wellbeing: Il benessere è perseguito in modo trasversale all’interno dell’organizzazione: la sponsorship parte dal CEO e/o dalla linea manageriale, la funzione HR è strategica e la cultura aziendale è orientata a supportare la competitività dell’azienda in termini di attrattività, retention e produttività.
VANTAGGI PER L’AZIENDA
Il Corporate Wellbeing genera un triplice vantaggio per l’azienda: più produttività ( +20% di valore aggiunto per dipendente), meno turnover (con un risparmio fino al 16% del costo del personale) e maggiore efficienza del costo del lavoro (ogni euro investito in wellbeing può valere fino a 4,5 volte per i lavoratori, grazie al moltiplicatore economico). Ignorare il benessere organizzativo comporta costi nascosti elevati e perdita di competitività. Se tutte le imprese adottassero questo tipo di soluzioni, si potrebbe generare per i lavoratori un valore superiore ai 200 miliardi di euro. Ad oggi però, più del 61% dei contratti aziendali contiene misure di welfare incentrate per la maggior parte solo su benefici fiscali, che spesso non riescono a rispondere in maniera efficace né alle esigenze organizzative né ai bisogni sociali.
Come veniva evidenziato nelle precedenti edizioni dell’Osservatorio TEHA – JOINTLY, il Corporate Wellbeing genera un aumento del +20% nei livelli di produttività di ciascun dipendente, meno turnover, con un risparmio complessivo che può arrivare fino al 16% del costo del personale, e maggiore efficienza del costo del lavoro, dal momento che ogni euro investito in wellbeing può valere fino a 4,5 volte per i lavoratori.
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