Nell’articolo scritto da tre specialisti in materia di welfare si evidenzia come nell’art. 47 del D.L. 31 maggio 2021, n. 77 e nel Dpcm 7 dicembre 2021 si premiano negli appalti finanziati con le risorse del PNRR le imprese che sviluppano piani di welfare aziendale
Il welfare aziendale diventa un elemento qualitativo delle offerte presentate dalle imprese che partecipano agli appalti finanziati con le risorse del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Lo evidenzia sull’ultimo numero di “Diritto & Pratica del Lavoro” (14/2022), un articolo scritto da tre specialisti di welfare aziendale e di diritto del lavoro: Luca Barbieri di ArlatiGhislandi, Giovanni Scansani, Business Advisor Welfare4You e Docente a contratto presso Università Cattolica di Milano e Martina Tombari, co-founder di Walà S.r.l. esperta di welfare aziendale e territoriale.
“Alla capacità del PNRR di agire concretamente nei processi di diffusione del welfare aziendale, nonché di articolazione delle sue modalità di espressione, un elemento innovativo – scrivono gli autori – afferisce alle procedure di selezione degli operatori economici nell’ambito degli appalti pubblici. L’art. 47 del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, e il Dpcm 7 dicembre 2021 (pubblicato in G.U. n. 309, serie generale, del 30 dicembre 2021), e recante le «Linee guida volte a favorire la pari opportunità di genere e generazionali, nonché l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità nei contratti pubblici finanziati con le risorse del PNRR (Piano nazionale degli investimenti complementari) e PNC (Piano nazionale per gli investimenti complementari)», formano un plesso normativo cruciale del vigente quadro normativo in materia di welfare, capace di una significativa e concreta evoluzione in materia sia sul piano giuridico e contrattuale che in ambito organizzativo”.
In buona sostanza la norma segnalata introduce esplicitamente una premialità per le imprese che concorrano in appalti pubblici, laddove abbiano sviluppato piani di welfare aziendale. Tra le clausole premiali che consentono di attribuire “all’operatore economico un punteggio aggiuntivo sono annoverati: A) gli strumenti di conciliazione delle esigenze di cura, vita e lavoro dei lavoratori; B) le modalità innovative d’organizzazione del lavoro”. Al riguardo – continua l’articolo citato – il paragrafo 9 dell’allegato al D.P.C.M. 7 dicembre 2021 “prevede che un punteggio aggiuntivo sia attribuito all’operatore economico in relazione a specifiche misure di welfare riconducibili alle anzidette lettere A) e B), a condizione che dette misure siano adottate in combinazione tra loro in numero non inferiore a quattro. Le misure di welfare espressamente indicate dalle «Linee guida» sono: • asilo nido aziendale o territoriale convenzionato inclusivo; • misure di flessibilità oraria; • ricorso al tempo parziale e ad una regolamentazione specifica con riferimento alla concessione di un periodo d’aspettativa per motivi personali; • telelavoro o lavoro agile; • integrazione economica alle indennità previste dalla legislazione vigente in materia di congedo parentale; • provvidenze miranti a garantire la cura per l’infanzia e di anziani o disabili non autosufficienti • istituzione di uno sportello informativo in materia di non discriminazione, pari opportunità e inclusione di lavoratori con disabilità; • forme di comunicazione esterna e interna o aziendale (intranet) accessibile; • formazione in tema di pari opportunità e nondiscriminazione ed inclusione di lavoratori con disabilità, anche adottando accomodamenti ragionevoli finalizzati all’inclusione; • adesione a network territoriali per la parità; • identificazione di una figura aziendale (diversity manager), perché sia garantita l’attuazione di politiche antidiscriminatorie; • adozione di servizi di sicurezza sul lavoro specificamente rivolti ai lavoratori con disabilità. Il punteggio aggiuntivo è previsto sia incrementato quando gli strumenti adottati in combinazione tra loro siano almeno cinque ed ulteriormente aumentato qualora le politiche per il welfare siano articolate combinando sette o più misure al contempo”.
L’articolo offre una compiuta documentazione normativa per consentire di comprendere al meglio la portata della norma. Ma l’indirizzo che impone è particolarmente significativo. Il welfare aziendale fa bene ai dipendenti, fa bene all’impresa non solo per una migliore relazione con il proprio capitale umano, ma anche per cogliere nuove opportunità di mercato.
Un riconoscimento del valore del welfare aziendale, dopo una stagione – almeno una decina d’anni – “di riscoperta ben testimoniata dalla sua crescente diffusione nel tessuto produttivo nazionale e dalla frequenza con la quale la materia è affrontata e regolata dalla contrattazione collettiva di lavoro” scrivono Barbieri, Scansani e Tombari. “Si può senz’altro sostenere che il welfare aziendale costituisca uno dei principali ambiti che qualificano le relazioni industriali. Le politiche di welfare aziendale possono essere interpretate come strumenti che mirano a perseguire uno sviluppo aziendale sostenibile, inserendosi nel quadro tracciato dall’Agenda 2030; trattasi del «Programma di azione per le persone, il pianeta e la prosperità» sottoscritto nel settembre 2015 dagli Stati membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e articolato in diciassette obiettivi comuni per lo sviluppo sostenibile (SDGs) a loro volta strutturati in centosessantanove diversi traguardi (target) – volti a ridurre i livelli di povertà e le disuguaglianze, garantire il miglioramento delle condizioni di lavoro, un equilibrato sviluppo economico e il contrasto al cambiamento climatico”.
Marco Barbieri
L’educazione finanziaria potenzia il welfare aziendale
Novembre 18, 2024