Il 2° rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale è stato presentato questa mattina 30 gennaio nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma.
Per il secondo anno, Censis e Eudaimon hanno elaborato il rapporto i cui risultati consentono di capire come il welfare aziendale può contrubuire a migliorare il benessere dei lavoratori. Secondo Alberto Perfumo – Amministratore delegato Eudaimon – l’analisi effettuata è il frutto di un “laboratorio avanzato finalizzato a diffondere consapevolezza e aumentare il coinvolgimento”.
“Se il 1° rapporto è stata occasione per rielaborare un quadro realistico concreto” – ha spiegato in apertura della presentazione Francesco Maietta, Responsabile Area politiche sociali Censis – il secondo prosegue il monitoraggio evidenziando come bisogna andare oltre la fiscalità vantaggiosa, poiché essa costituisce un filo troppo sottile”. Dei 7.000 lavoratori che beneficiano di welfare aziendale, l’80% si dice soddisfatto, il 57% afferma che i piani di welfare fanno parlare bene dell’azienda, il 51% riduce la propensione a cambiare azienda, il 45% potenzia il senso di appartenenza, il 68% accetta servizi di welfare al posto di aumenti o promozioni. Nell’evidenza che il settore sia decollato grazie soprattutto alla Legge di Bilancio, si certifica tuttavia una conoscenza spontanea delle politiche di welfare ancora bassa: il 40,9% non conosce affatto i benefici ai quali potrebbe ricorrerere.
Secondo Perfumo “il welfare aziendale ha rappresentato una molla di engagement non indifferente volta a creare un clima nuovo nelle relazioni coi lavoratori, contribuendo ad ammortizzare le diseguaglianze”. Perché il welfare aziendale conviene? Perché è dimostrato che l’impatto sugli stipendi è solo dell’1- 1,5%.
Soddisfazione hanno dimostrato anche gli interventi dei sindacati: Carmelo Barbagallo – Segretario Generale UIL – ha ribadito tuttavia l’importanza strutturale di un welfare che non sia sostitutivo ma aggiuntivo poiché utile a convertirsi in una leva per aumentare la produttività lavorativacresciuta nell’ultimo anno dal 35% al 42%. Secondo CISL invece, sarebbe più opportuno definirlo “welfare contrattuale” ha spiegato Luigi Sbarra, Segretario Generale aggiunto: “La contrattazione territoriale combatte le diseguaglianze e deve essere maggiormente inclusiva con le parti sociali. Opportuno è prefiggersi di uscire dalla dicotomia welfare o salario”. Maggiore attenzione al dato relativo a quei lavoratori che non sono disposti a trasformare i salari in benefit welfaristici è stata la richiesta di Delia Nardone, Responsabile Bilateralità CGIL nazionale. La contrattazione di secondo livello è infatti un volano funzionale ad aumentare la produttività e il coinvolgimento riducendo il gap tra pubblico e privato.
In conclusione della giornata, l’intervento di Andrea Bianchi – Direttore Area Politiche Industriali Confindustria – ha spostato l’asticella dell’analisi verso tre sfide alle quali devono far fronte i piani di welfare: l’ingresso delle nuove tecnologie nelle aziende, la sostenibilità ambientale e l’aumento della responsabilità sociale. Rispetto poi a quella che è stata individuata come una stagnazione salariale dovuta alla bassa produttività, Marco Leonardi – Professore di Economia Politica all’Università degli Studi di Milano – ha sostenuto come quella del welfare aziendale sia “un’opzione in più e non deve essere sostitutiva del welfare universale”.
Le nuove dinamiche del welfare aziendale: l’integrazione dei public benefit
Agosto 28, 2024