Le direzioni Risorse Umane delle aziende (pubbliche e private) continuano a interrogarsi sul futuro del welfare aziendale. Ecco di seguito il contributo di Chiara Temperanza HR Assistant, Engines EMEA Human Resources
La parola stessa welfare è un gioco fonetico anglofono fra well “bene” e fare “tariffa, offerta” proprio perché chi ne usufruisce trovi a una tariffa agevolata un bene materiale o immateriale come un servizio di previdenza, sanità, ammortizzatori sociali ecc. Lo scopo del welfare è migliorare la qualità della vita in ogni sua fase dalla tutela in caso di “rischio”, all’assistenza nel momento del “bisogno” fino alla condivisione di momenti piacevoli come attività sportive o vacanze.
È evidente che avere un piano di welfare aziendale è divenuta una prerogativa per il datore di lavoro, dato che ormai è parte integrante del testo di molti CCNL e oggetto di contrattazione sindacale, giacché con la legge di bilancio del 2017 è diventato una forma sussidiaria di compenso detassata. Buone politiche di welfare contribuiscono a un migliore clima aziendale e un effetto positivo anche in termini di immagine, aumentando il senso di appartenenza e di fidelizzazione del collaboratore nei confronti del datore di lavoro. Il lavoratore è appagato perché li percepisce come una sorta di porto sicuro offerto dall’azienda per sé e per la famiglia, in quanto sono un netto nel portafogli e fruibili a portata di click o di app. Quello che emerge è che investendo nel welfare può risparmiare mentre il lavoratore può percepire di più.
Chiara Temperanza
HR Assistant, Engines EMEA Human Resources
Le nuove dinamiche del welfare aziendale: l’integrazione dei public benefit
Agosto 28, 2024