25 Giugno2024

Consorzio CGM: necessario riconoscere il valore reddituale del lavoro nel Terzo Settore

Consorzio CGM

XV CONVENTION CONSORZIO NAZIONALE CGM: Terzo Settore e lavoro, una tavola rotonda attorno alle sfide, anche remunerative, che il mondo improntato al capitale umano deve affrontare nel prossimo futuro

La seconda giornata della XV convention del consorzio nazionale CGM si chiude parlando di Generazioni al lavoro: un nuovo contratto sociale. Il mondo del Terzo Settore si interroga sul valore del lavoro, su come stia cambiando la sua percezione in questi anni anche a causa dei cambiamenti dettati dalla pandemia.

I temi emersi attorno alla discussione sul lavoro nel Terzo Settore sono:

  • impatto della pandemia di Covid-19
  • l’impresa sociale è attenta al cliente ma non si preoccupa del personale
  • il Terzo Settore necessita di un’innovazione tecnologica
  • alte percentuali di part time poco reddito quindi poca autonomia
  • dare riconoscimento sociale e reddituale al lavoro dell’impresa sociale
  • promuovere nuovi modelli organizzativi

Silvia Zanella, Manager e autrice: “Il lavoro ha perso il proprio senso perché i lavoratori hanno messo in discussione le proprie priorità. Durante la pandemia, sono emerse nuove necessità a cui le imprese non sono state in grado di rispondere. Non hanno saputo supportare i propri dipendenti, non sono state al passo con le innovazioni, non hanno fornito formazione e di conseguenza non offrono una motivazione valida. Se facciamo un focus specifico sul lavoro sociale, notiamo ulteriori complessità. L’impresa sociale si fonda su un sistema valoriale, focalizzato a far stare bene il proprio cliente. Ma è sempre meno attento a chi lavora all’interno della propria organizzazione. Per questo, chi lavora in questo settore ha un enorme occasione di trasformazione: comunicare concretamente i propri scopi, senza temere le nuove tecnologie, affinché l’organizzazione stessa del lavoro si modifichi e diventi distintiva”.

Francesco Seghezzi, Presidente ADAPT: “Il modello ‘lavoro come forma di liberazione’ pian piano si è sgretolato. Il covid ci ha svelato come questa idea ci abbia mandato in esaurimento, facendoci al contempo dimenticare una serie di aspetti intrinsechi al lavoro stesso. Come, ad esempio, il valore del rapporto relazionale, che è relazione con il mondo.”

Rita Ghedini, Presidente Legacoop Bologna: “IL problema che le imprese dell’economia sociale hanno in più rispetto alle altre forme imprenditoriali è che se da un lato siamo ottimi datori di lavori dal punto di vista della continuità, dall’altro siamo decisamente meno attraenti e attrattiva per la quantità di lavoro offerto. Abbiamo alte percentuali di part-time che comporta meno reddito. Da un’analisi che abbiamo svolto sui giovani tra i 18 e i 35 anni, emerge che sì le aspettative di senso sono molto forti, ma allo stesso tempo al primo posto c’è la richiesta di un reddito giusto che renda autonomi. Abbiamo di fronte delle platee di giovani che hanno potuto costruire dei curricula formativi molto importanti. Che cosa possiamo offrire loro come cooperative? È evidente che dobbiamo essere pronti a ripensare tutti i nostri istituti e ai margini di redditività”.

Stefano Granata, Presidente Confcooperative Federsolidarietà: “Il problema è che bisogna dare riconoscimento sociale e reddituale al lavoro dell’impresa sociale. Ed è innanzitutto la comunità che non ritiene necessario remunerarlo, considerando i lavoratori del terzo settore ancora come falsi volontari. È evidente che ci sia qualcosa che non funziona. Il passaggio che bisogna fare è culturale: il riconoscimento deve avvenire innanzitutto nella comunità. È una questione di consapevolezza e di approccio: oggi dobbiamo avere il coraggio di proporre dei modelli organizzativi nuovi, lontani dalle strutture antiquate degli anni Ottanta. La cooperazione sociale deve essere fatta di mutualità interna e mutualità esterna. Abbiamo messo al centro i destinatari dei nostri servizi, dimenticando che le persone intorno a noi, all’interno delle nostre imprese, stavano male, insoddisfatti da una remunerazione bassa ed esclusi dai processi decisionali. Inutile parlare di spinta emotiva, innovazione e volontà delle imprese sociali. Non basta! Dobbiamo rivedere i nostri modelli organizzativi e il nostro modello decisionale. Costruire dei processi di partecipazione reale all’interno dell’impresa. Ci vuole coraggio e bisogna tornare a fare delle scelte collettive. Se affermiamo di essere qualcosa di diverso dobbiamo anche tradurlo in azioni concrete”.

 

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