Secondo Clutch, giovane startup attiva nel panorama dell’head-hunting, il quiet quitting invita a ripensare i modelli di lavoro in azienda
“Nel contesto italiano, dove la cultura del lavoro è storicamente legata a un’idea di sacrificio, alla disponibilità continua e al senso del dovere, il quiet quitting rappresenta un cambio di paradigma profondo: il segnale che molte persone stanno ripensando il proprio rapporto con il lavoro”, – dichiara Lorenzo Cattelani, CEO e Founder di Clutch – “Non è una fuga, ma una forma di autodifesa: un invito urgente a ripensare modelli di leadership, percorsi di crescita e relazioni professionali oggi troppo spesso sbilanciate”.
In molti casi, il quiet quitting rappresenta un esercizio di professionalità consapevole: persone che rispettano obiettivi, orari e ruoli senza mostrarsi eccessivamente disponibili o sacrificando molto di sé. Un comportamento legittimo, che riflette l’evoluzione di una generazione che non misura più il valore professionale in ore extra o nell’annullamento della sfera privata.
“Le aspettative disilluse, una leadership inefficace e una cultura aziendale orientata a tutti i costi alla performance: sono questi gli aspetti che provocano un progressivo distacco tra il dipendente e l’azienda. In questo senso, il quiet quitting può (e deve) essere letto come un segnale prezioso per le organizzazioni: non tanto una minaccia alla produttività, quanto un termometro del clima interno. Quando l’energia emotiva si affievolisce, quando le persone smettono di partecipare attivamente, di proporre, di collaborare, è lì che si misura il vero impatto del progressivo distacco e disallineamento”, prosegue Cattelani.
“È fondamentale offrire percorsi di carriera e di formazione, occasioni di confronto e strumenti per valorizzare il singolo, evitando al contempo ridondanze organizzative e operative. Attraverso questo approccio, le aziende imparano a costruire una cultura interna basata sulla sostenibilità, anziché sull’eroismo lavorativo. Ma, soprattutto, è importante ricordare che un reale coinvolgimento negli obiettivi aziendali nasce solo quando le persone si sentono viste, ascoltate e valorizzate”, conclude Cattelani.
17 Luglio2025
Commenti e interviste, Servizi aziendali
Il “quiet quitting non è una fuga ma una forma di autodifesa
Secondo Clutch, giovane startup attiva nel panorama dell’head-hunting, il quiet quitting invita a ripensare i modelli di lavoro in azienda
“Nel contesto italiano, dove la cultura del lavoro è storicamente legata a un’idea di sacrificio, alla disponibilità continua e al senso del dovere, il quiet quitting rappresenta un cambio di paradigma profondo: il segnale che molte persone stanno ripensando il proprio rapporto con il lavoro”, – dichiara Lorenzo Cattelani, CEO e Founder di Clutch – “Non è una fuga, ma una forma di autodifesa: un invito urgente a ripensare modelli di leadership, percorsi di crescita e relazioni professionali oggi troppo spesso sbilanciate”.
In molti casi, il quiet quitting rappresenta un esercizio di professionalità consapevole: persone che rispettano obiettivi, orari e ruoli senza mostrarsi eccessivamente disponibili o sacrificando molto di sé. Un comportamento legittimo, che riflette l’evoluzione di una generazione che non misura più il valore professionale in ore extra o nell’annullamento della sfera privata.
“Le aspettative disilluse, una leadership inefficace e una cultura aziendale orientata a tutti i costi alla performance: sono questi gli aspetti che provocano un progressivo distacco tra il dipendente e l’azienda. In questo senso, il quiet quitting può (e deve) essere letto come un segnale prezioso per le organizzazioni: non tanto una minaccia alla produttività, quanto un termometro del clima interno. Quando l’energia emotiva si affievolisce, quando le persone smettono di partecipare attivamente, di proporre, di collaborare, è lì che si misura il vero impatto del progressivo distacco e disallineamento”, prosegue Cattelani.
“È fondamentale offrire percorsi di carriera e di formazione, occasioni di confronto e strumenti per valorizzare il singolo, evitando al contempo ridondanze organizzative e operative. Attraverso questo approccio, le aziende imparano a costruire una cultura interna basata sulla sostenibilità, anziché sull’eroismo lavorativo. Ma, soprattutto, è importante ricordare che un reale coinvolgimento negli obiettivi aziendali nasce solo quando le persone si sentono viste, ascoltate e valorizzate”, conclude Cattelani.
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