Intervista a Fabrizio Quintili, Professional Certified Coach ICF, socio dell’International Society of Coaching Psychology, Executive & Business Coach
Nel contesto aziendale contemporaneo, il coaching si è rivelato uno strumento fondamentale per lo sviluppo delle competenze individuali e il raggiungimento degli obiettivi organizzativi. Ma il coaching in azienda può avere anche un impatto significativo sul benessere organizzativo, influenzando positivamente sia i singoli dipendenti, sia la cultura aziendale nel suo complesso.
Questa intervista esplora come il coaching influisca sulla crescita personale dei dipendenti e sul benessere organizzativo.
Si sente tanto parlare di coaching, ma è possibile spiegare che cosa si tratta più precisamente?
Il coaching è una disciplina che ha la finalità di supportare una persona a raggiungere i risultati desiderati. Soprattutto in azienda, si è soliti pensare che per raggiungere un risultato bisogna sempre avere conoscenze specifiche e aver sviluppato un saper fare specifico. E quando le persone non riescono a raggiungere i risultati pensano in automatico che non hanno abbastanza conoscenze o non conoscono il modo (metodi, tecniche, trucchi, ecc.). Si sottovaluta, però, un altro livello importante affinché i risultati possano essere raggiunti: il livello che riguarda la propria autoefficacia, ossia quanto la persona è convinta di potercela fare a superare determinati ostacoli e il saper sfruttare il patrimonio di risorse che le persone già hanno maturato e che spesso non sanno come utilizzare.
In poche parole, non basta la conoscenza e il saper fare, serve invece la capacità di saper applicare le conoscenze e le competenze che già sono in nostro possesso (e quindi il primo passo è riconoscerle) e soprattutto costruire la fiducia in sé stessi che si riesca attraverso tentativi, errori e possibili fallimenti a trovare la strada per raggiungere i risultati desiderati. Come dire, quando abbiamo a che fare con la complessità non esiste più il libretto delle istruzioni. Ciascuno, con le proprie conoscenze, capacità, risorse, deve costruirsi le proprie strategie, le proprie soluzioni, la strada più idonea e sostenibile per sé stesso. In libreria, per esempio, troviamo un sacco di manuali che ci insegnano come “risolvere la vita”, ma la verità è che ai problemi complessi non corrisponde un manuale delle istruzioni. Acquisite le conoscenze disponibili bisogna costruirsi la strada.
Quindi il coaching in che cosa si differenzia dalla formazione tradizionale?
Il coaching aziendale è un processo di sviluppo personale che si focalizza sul migliorare le performance lavorative e la realizzazione professionale dell’individuo. A differenza della formazione tradizionale, che è più generalista e strutturata, il coaching è altamente personalizzato e si concentra sugli obiettivi specifici della persona, facilitando una trasformazione più profonda e sostenibile di persone e gruppi.
Le aziende, però, non hanno solamente il bisogno di incrementare le performance dei dipendenti, ma anche il loro benessere. In che modo il coaching può contribuire a questo obiettivo?
Il coaching ha un impatto significativo sulla gestione dello stress e sulla prevenzione del burnout, soprattutto in contesti lavorativi ad alta pressione supportando individui e team nel riconoscere, affrontare e mitigare le fonti di stress. Il coaching promuove strategie efficaci per la gestione dello stress e per il mantenimento del benessere psicofisico. Ad esempio può aiutare le persone a trovare un equilibrio tra la vita professionale e la vita privata. Il work-life balance, soprattutto negli ultimi anni, è diventato un tema sempre più presente nei risultati desiderati dalle persone che fruiscono il coaching.
E in che modo il coaching può aiutare le persone a gestire le fonti di stress?
Il coaching aiuta i clienti a rivedere le loro percezioni e atteggiamenti nei confronti delle fonti di stress, incoraggiando un cambio di prospettiva che può ridurre significativamente l’impatto dello stress sul benessere personale. Questo può includere il riconoscimento e la sfida dei pensieri negativi e lo sviluppo di una maggiore flessibilità mentale. Ma soprattutto aiuta a costruire strategie alternative e personali per fronteggiarle.
Spesso, però, lo stress dei dipendenti è legato anche a situazioni di attrito con i propri capi. In questo caso, come può essere utile il coaching?
Il coaching può aiutare a due livelli, lavorando sugli executive e lavorando sui team. Sugli executive li può aiutare a gestire meglio le proprie persone, a costruirsi abitudini, comportamenti e competenze utili a interagire al meglio e a considerare l’importanza del benessere dei collaboratori affinché un team performi al meglio. In secondo luogo, il coaching può intervenire a livello di team, favorendo le relazioni costruttive, la comunicazione, la collaborazione e l’integrazione dei valori personali tra le persone.
Un altro tema di cui si parla spesso in azienda e l’inclusione. Il coaching può aiutare anche su questo?
Assolutamente sì. Il coaching può giocare un ruolo cruciale nel promuovere e integrare una cultura aziendale dell’inclusione perché non solo aiuta a riconoscere e valorizzare la diversità all’interno delle organizzazioni, ma facilita anche lo sviluppo di un ambiente lavorativo inclusivo e rispettoso. Per esempio il coaching aiuta i leader e i team a sviluppare una maggiore consapevolezza dei propri pregiudizi inconsci e delle dinamiche di potere esistenti all’interno dell’organizzazione. Allo stesso modo nell’intervento con il team si fa la stessa cosa. Il fattore di efficacia è proprio il metodo specifico che il coaching utilizza per scardinare i pregiudizi e le convinzioni inutili.
E quali sono i tempi di intervento di coaching? Giorni, mesi o anni?
Questo è un altro aspetto di cui si parla poco. Un percorso di coaching solitamente dura tra i tre e i sei mesi, con una media di due incontri al mese che vanno dall’ora nel coaching individuale, alle due-quattro ore per il team coaching.
Quello che si vuole conseguire con il coaching non è un risultato magico, al di là degli urlatori del marketing che paventano risultati magici e definitivi, del tipo “cambia la tua vita con il coaching!”. Quello che si cerca, invece, non è un bottone da spingere nella persona affinché questa possa cambiare magicamente. Piuttosto si cerca di capire quali sono i passi progressivi che possono condurre una persona verso l’obiettivo e aiutarla a costruirsi un modo per percorrerli.
L’obiettivo è certamente fare il numero maggiore di passi possibili per andare il più vicino possibile al risultato. Nella maggior parte dei casi questo è possibile, ma qualora non lo fosse non è detto che l’intervento di coaching non è stato efficace. Quel che si cerca è l’apprendimento, la scoperta su di sé, la scoperta delle proprie capacità e l’incremento della fiducia in sé stessi. Poi, eventualmente non si raggiungano pienamente i risultati che ci si proponeva, la persona continuerà da sola la marcia verso il risultato.
E tutto questo come può essere applicato in azienda?
Gli strumenti classici della formazione, appunto, arrivano fino a un certo punto. Dopodiché si deve entrare in azione e navigare nella complessità. Nonostante l’alto livello di maturità professionale e personale, per elevarsi ulteriormente e raggiungere i risultati desiderati occorre affrontare una serie di ostacoli e situazioni complicate. Il coaching può dare un supporto concreto laddove non arriva la formazione: la persona che fa un percorso di coaching ha l’opportunità di sviluppare ulteriormente le proprie capacità e competenze e al contempo di modificare il proprio comportamento per superare gli ostacoli e raggiungere risultati concreti (per esempio sviluppare nuove abitudini, comportamenti, soluzioni, strategie). Solitamente, però, l’investimento richiesto per il coaching è in proporzione più alto dell’investimento richiesto per la formazione. Per tale motivo è rivolto principalmente ad un target di executive, manager e middle manager. Ma ne esistono adattamenti che hanno per target tutta la popolazione aziendale (group coaching).
Quali sono, ad esempio, i motivi per cui un executive può trovare utilità nel fare un percorso di coaching?
Alcuni dei temi che ricorrono più spesso con gli executive sono lo sviluppo della propria visione e del goal setting, il networking e le relazioni interpersonali, il saper sviluppare relazioni solide con clienti, partner e colleghi, l’imparare a gestire relazioni difficili o complesse, il potenziamento delle competenze decisionali, lo sviluppo della resilienza, la gestione del tempo e delle priorità, lo sviluppo della leadership e lo sviluppo della capacità di gestire il team, la comunicazione efficace, la gestione del cambiamento, la gestione dello stress e del burnout. Insomma, mi sembra che di motivi ce ne siano.
Per esempio, rispetto a quello che diceva prima, la gestione del tempo è qualcosa su cui si può fare formazione. In che modo lo mette in relazione con il concetto che “non esiste un libretto delle istruzioni nella complessità”?
È vero, esiste tanta formazione. Quello che si vede spesso, per esempio, e che sorprende nel coaching è che le persone che lamentano difficoltà nella propria gestione del tempo in realtà hanno fatto proprio tanta formazione sul time management e sono consapevoli delle tecniche da applicare. E le applicano pure! E come mai, quindi, possono trovare delle difficoltà?
Se si approfondisce la situazione si scopre, ad esempio, che la persona sa benissimo come andrebbe organizzato il tempo ma non riesce perché, per dirne una, ha difficoltà nel dire no alle richieste degli altri (superiori, colleghi o collaboratori), cosicché gli slot di tempo che vorrebbe dedicare ad altro si riempiono e la persona si trova affogata di impegni. Questo è solo un esempio per chiarire che cosa intendo quando dico che non basta avere le conoscenze e il sapere come si applicano, bisogna invece avere consapevolezza del proprio comportamento e saperlo modificare per navigare nella complessità.
Quello che dice sembra discostarsi dalla visione comune che il coaching serve a motivare le persone.
Il coaching, a mio avviso, non ha lo scopo principale di motivare le persone, ma di aiutarle ad individuare i risultati desiderati, a chiarirsi le idee, a costruirsi una strada per raggiungerli. È chiaro che per agire, per impegnarsi, serve una motivazione. Ma la motivazione è un effetto secondario del primo step: più una persona ha chiari i risultati che desidera e sente che sta costruendosi la strada per raggiungerti, più si sente motivata.
Materialmente come si svolge un percorso di coaching in azienda?
Un percorso di coaching in azienda può essere di vari tipi. Per riassumere descrivo le due tipologie principali.
Esiste il coaching individuale, che si svolge in sessioni di un’ora, un’ora e mezza. Sono incontri one to one tra coach e coachee (così viene definita la persona che fruisce il coaching), generalmente in un numero che varia da 4 a 12, a distanza di 15-20 giorni l’uno dall’altro.
Poi c’è il coaching dedicato ai team (team coaching). La durata delle sessioni solitamente va dalle due alle quattro ore e sono sessioni in cui il coach guida un team di progetto a costruire strade per raggiungere i risultati desiderati.
Quali consigli darebbe a un’azienda che considera di introdurre il coaching per i suoi dipendenti?
La strada più semplice ed efficace è rivolgersi a società di consulenza come la nostra Noema HR (www.noemahr.com). Oppure può investire in un programma formativo e personalizzato per creare dei coach interni. Questo, ad esempio è possibile con un Master specifico come il nostro, il Professional Business Coaching (www.noemahr.com/master-business-coaching).
22 Marzo2024
Servizi aziendali, Commenti e interviste
Il coaching per il benessere aziendale
Intervista a Fabrizio Quintili, Professional Certified Coach ICF, socio dell’International Society of Coaching Psychology, Executive & Business Coach
Nel contesto aziendale contemporaneo, il coaching si è rivelato uno strumento fondamentale per lo sviluppo delle competenze individuali e il raggiungimento degli obiettivi organizzativi. Ma il coaching in azienda può avere anche un impatto significativo sul benessere organizzativo, influenzando positivamente sia i singoli dipendenti, sia la cultura aziendale nel suo complesso.
Questa intervista esplora come il coaching influisca sulla crescita personale dei dipendenti e sul benessere organizzativo.
Si sente tanto parlare di coaching, ma è possibile spiegare che cosa si tratta più precisamente?
Il coaching è una disciplina che ha la finalità di supportare una persona a raggiungere i risultati desiderati. Soprattutto in azienda, si è soliti pensare che per raggiungere un risultato bisogna sempre avere conoscenze specifiche e aver sviluppato un saper fare specifico. E quando le persone non riescono a raggiungere i risultati pensano in automatico che non hanno abbastanza conoscenze o non conoscono il modo (metodi, tecniche, trucchi, ecc.). Si sottovaluta, però, un altro livello importante affinché i risultati possano essere raggiunti: il livello che riguarda la propria autoefficacia, ossia quanto la persona è convinta di potercela fare a superare determinati ostacoli e il saper sfruttare il patrimonio di risorse che le persone già hanno maturato e che spesso non sanno come utilizzare.
In poche parole, non basta la conoscenza e il saper fare, serve invece la capacità di saper applicare le conoscenze e le competenze che già sono in nostro possesso (e quindi il primo passo è riconoscerle) e soprattutto costruire la fiducia in sé stessi che si riesca attraverso tentativi, errori e possibili fallimenti a trovare la strada per raggiungere i risultati desiderati. Come dire, quando abbiamo a che fare con la complessità non esiste più il libretto delle istruzioni. Ciascuno, con le proprie conoscenze, capacità, risorse, deve costruirsi le proprie strategie, le proprie soluzioni, la strada più idonea e sostenibile per sé stesso. In libreria, per esempio, troviamo un sacco di manuali che ci insegnano come “risolvere la vita”, ma la verità è che ai problemi complessi non corrisponde un manuale delle istruzioni. Acquisite le conoscenze disponibili bisogna costruirsi la strada.
Quindi il coaching in che cosa si differenzia dalla formazione tradizionale?
Il coaching aziendale è un processo di sviluppo personale che si focalizza sul migliorare le performance lavorative e la realizzazione professionale dell’individuo. A differenza della formazione tradizionale, che è più generalista e strutturata, il coaching è altamente personalizzato e si concentra sugli obiettivi specifici della persona, facilitando una trasformazione più profonda e sostenibile di persone e gruppi.
Le aziende, però, non hanno solamente il bisogno di incrementare le performance dei dipendenti, ma anche il loro benessere. In che modo il coaching può contribuire a questo obiettivo?
Il coaching ha un impatto significativo sulla gestione dello stress e sulla prevenzione del burnout, soprattutto in contesti lavorativi ad alta pressione supportando individui e team nel riconoscere, affrontare e mitigare le fonti di stress. Il coaching promuove strategie efficaci per la gestione dello stress e per il mantenimento del benessere psicofisico. Ad esempio può aiutare le persone a trovare un equilibrio tra la vita professionale e la vita privata. Il work-life balance, soprattutto negli ultimi anni, è diventato un tema sempre più presente nei risultati desiderati dalle persone che fruiscono il coaching.
E in che modo il coaching può aiutare le persone a gestire le fonti di stress?
Il coaching aiuta i clienti a rivedere le loro percezioni e atteggiamenti nei confronti delle fonti di stress, incoraggiando un cambio di prospettiva che può ridurre significativamente l’impatto dello stress sul benessere personale. Questo può includere il riconoscimento e la sfida dei pensieri negativi e lo sviluppo di una maggiore flessibilità mentale. Ma soprattutto aiuta a costruire strategie alternative e personali per fronteggiarle.
Spesso, però, lo stress dei dipendenti è legato anche a situazioni di attrito con i propri capi. In questo caso, come può essere utile il coaching?
Il coaching può aiutare a due livelli, lavorando sugli executive e lavorando sui team. Sugli executive li può aiutare a gestire meglio le proprie persone, a costruirsi abitudini, comportamenti e competenze utili a interagire al meglio e a considerare l’importanza del benessere dei collaboratori affinché un team performi al meglio. In secondo luogo, il coaching può intervenire a livello di team, favorendo le relazioni costruttive, la comunicazione, la collaborazione e l’integrazione dei valori personali tra le persone.
Un altro tema di cui si parla spesso in azienda e l’inclusione. Il coaching può aiutare anche su questo?
Assolutamente sì. Il coaching può giocare un ruolo cruciale nel promuovere e integrare una cultura aziendale dell’inclusione perché non solo aiuta a riconoscere e valorizzare la diversità all’interno delle organizzazioni, ma facilita anche lo sviluppo di un ambiente lavorativo inclusivo e rispettoso. Per esempio il coaching aiuta i leader e i team a sviluppare una maggiore consapevolezza dei propri pregiudizi inconsci e delle dinamiche di potere esistenti all’interno dell’organizzazione. Allo stesso modo nell’intervento con il team si fa la stessa cosa. Il fattore di efficacia è proprio il metodo specifico che il coaching utilizza per scardinare i pregiudizi e le convinzioni inutili.
E quali sono i tempi di intervento di coaching? Giorni, mesi o anni?
Questo è un altro aspetto di cui si parla poco. Un percorso di coaching solitamente dura tra i tre e i sei mesi, con una media di due incontri al mese che vanno dall’ora nel coaching individuale, alle due-quattro ore per il team coaching.
Quello che si vuole conseguire con il coaching non è un risultato magico, al di là degli urlatori del marketing che paventano risultati magici e definitivi, del tipo “cambia la tua vita con il coaching!”. Quello che si cerca, invece, non è un bottone da spingere nella persona affinché questa possa cambiare magicamente. Piuttosto si cerca di capire quali sono i passi progressivi che possono condurre una persona verso l’obiettivo e aiutarla a costruirsi un modo per percorrerli.
L’obiettivo è certamente fare il numero maggiore di passi possibili per andare il più vicino possibile al risultato. Nella maggior parte dei casi questo è possibile, ma qualora non lo fosse non è detto che l’intervento di coaching non è stato efficace. Quel che si cerca è l’apprendimento, la scoperta su di sé, la scoperta delle proprie capacità e l’incremento della fiducia in sé stessi. Poi, eventualmente non si raggiungano pienamente i risultati che ci si proponeva, la persona continuerà da sola la marcia verso il risultato.
E tutto questo come può essere applicato in azienda?
Gli strumenti classici della formazione, appunto, arrivano fino a un certo punto. Dopodiché si deve entrare in azione e navigare nella complessità. Nonostante l’alto livello di maturità professionale e personale, per elevarsi ulteriormente e raggiungere i risultati desiderati occorre affrontare una serie di ostacoli e situazioni complicate. Il coaching può dare un supporto concreto laddove non arriva la formazione: la persona che fa un percorso di coaching ha l’opportunità di sviluppare ulteriormente le proprie capacità e competenze e al contempo di modificare il proprio comportamento per superare gli ostacoli e raggiungere risultati concreti (per esempio sviluppare nuove abitudini, comportamenti, soluzioni, strategie). Solitamente, però, l’investimento richiesto per il coaching è in proporzione più alto dell’investimento richiesto per la formazione. Per tale motivo è rivolto principalmente ad un target di executive, manager e middle manager. Ma ne esistono adattamenti che hanno per target tutta la popolazione aziendale (group coaching).
Quali sono, ad esempio, i motivi per cui un executive può trovare utilità nel fare un percorso di coaching?
Alcuni dei temi che ricorrono più spesso con gli executive sono lo sviluppo della propria visione e del goal setting, il networking e le relazioni interpersonali, il saper sviluppare relazioni solide con clienti, partner e colleghi, l’imparare a gestire relazioni difficili o complesse, il potenziamento delle competenze decisionali, lo sviluppo della resilienza, la gestione del tempo e delle priorità, lo sviluppo della leadership e lo sviluppo della capacità di gestire il team, la comunicazione efficace, la gestione del cambiamento, la gestione dello stress e del burnout. Insomma, mi sembra che di motivi ce ne siano.
Per esempio, rispetto a quello che diceva prima, la gestione del tempo è qualcosa su cui si può fare formazione. In che modo lo mette in relazione con il concetto che “non esiste un libretto delle istruzioni nella complessità”?
È vero, esiste tanta formazione. Quello che si vede spesso, per esempio, e che sorprende nel coaching è che le persone che lamentano difficoltà nella propria gestione del tempo in realtà hanno fatto proprio tanta formazione sul time management e sono consapevoli delle tecniche da applicare. E le applicano pure! E come mai, quindi, possono trovare delle difficoltà?
Se si approfondisce la situazione si scopre, ad esempio, che la persona sa benissimo come andrebbe organizzato il tempo ma non riesce perché, per dirne una, ha difficoltà nel dire no alle richieste degli altri (superiori, colleghi o collaboratori), cosicché gli slot di tempo che vorrebbe dedicare ad altro si riempiono e la persona si trova affogata di impegni. Questo è solo un esempio per chiarire che cosa intendo quando dico che non basta avere le conoscenze e il sapere come si applicano, bisogna invece avere consapevolezza del proprio comportamento e saperlo modificare per navigare nella complessità.
Quello che dice sembra discostarsi dalla visione comune che il coaching serve a motivare le persone.
Il coaching, a mio avviso, non ha lo scopo principale di motivare le persone, ma di aiutarle ad individuare i risultati desiderati, a chiarirsi le idee, a costruirsi una strada per raggiungerli. È chiaro che per agire, per impegnarsi, serve una motivazione. Ma la motivazione è un effetto secondario del primo step: più una persona ha chiari i risultati che desidera e sente che sta costruendosi la strada per raggiungerti, più si sente motivata.
Materialmente come si svolge un percorso di coaching in azienda?
Un percorso di coaching in azienda può essere di vari tipi. Per riassumere descrivo le due tipologie principali.
Esiste il coaching individuale, che si svolge in sessioni di un’ora, un’ora e mezza. Sono incontri one to one tra coach e coachee (così viene definita la persona che fruisce il coaching), generalmente in un numero che varia da 4 a 12, a distanza di 15-20 giorni l’uno dall’altro.
Poi c’è il coaching dedicato ai team (team coaching). La durata delle sessioni solitamente va dalle due alle quattro ore e sono sessioni in cui il coach guida un team di progetto a costruire strade per raggiungere i risultati desiderati.
Quali consigli darebbe a un’azienda che considera di introdurre il coaching per i suoi dipendenti?
La strada più semplice ed efficace è rivolgersi a società di consulenza come la nostra Noema HR (www.noemahr.com). Oppure può investire in un programma formativo e personalizzato per creare dei coach interni. Questo, ad esempio è possibile con un Master specifico come il nostro, il Professional Business Coaching (www.noemahr.com/master-business-coaching).
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