Welfare aziendale e territoriale è il mondo che si propone di studiare la Fondazione Mario Del Monte, la cui ricerca sarà presentata oggi presso la Sala Panini della Camera di Commercio di Modena.
Con la ricerca “La situazione provinciale e nazionale, il quadro normativo, le tendenze” che presenterà in data odierna, la Fondazione Mario Del Monte si propone di studiare il mondo del welfare aziendale e territoriale, parallelo al sistema di welfare pubblico tradizionale e in crescita negli ultimi anni. Si tratta di “panieri” di beni e di servizi messi a disposizione dall’impresa ai propri dipendenti quali previdenza complementare e sanità integrativa, sostegno al reddito familiare e alla genitorialità, misure per il tempo libero e agevolazioni per acquisti di beni di consumo. Beni e servizi reali che sostituiscono quota parte del premio di produzione annuale erogato in denaro.
Le principali leve di sviluppo del welfare aziendale/occupazionale sono state la detassazione e la decontribuzione per l’impresa e per i lavoratori della quota di salario fruito in beni e servizi di “welfare aziendale”. La ricerca della Fondazione Del Monte dimostra, però, che mentre l’intera collettività sta rinunciando a 584 milioni per l’anno 2018 per mancato gettito (-344 euro per ogni 1.000 euro di premio aziendale in welfare), il lavoratore ottiene un modesto vantaggio pari a circa 44 euro su 1.000 euro di premio mentre il datore di lavoro ha un vantaggio di 344 euro (per minori imposte e contributi sociali pagati). Chi pagherà maggiormente nel tempo il “prezzo” della fruizione del premio sotto forma di benefits invece che in denaro sono i giovani (la fascia di età 25-35 anni). In media, al momento del pensionamento, percepiranno un assegno mensile più basso di un importo tra gli 80 e i 115 euro.
Il campione analizzato è composto dagli accordi integrativi di 17 imprese del comparto produttivo modenese, che spaziano tra diversi settori, principalmente quello ceramico, alimentare, meccanico e dei servizi. La metodologia seguita è stata quella dell’analisi dei contratti di secondo livello o accordi integrativi. Per il settore bancario, l’analisi si è concentrata in via prioritaria su un importante gruppo del territorio. Abbiamo poi esplorato il mondo degli enti bilaterali, che già in precedenza gestivano il campo del “welfare” per gli artigiani e le piccole imprese (oltre 31.000 aziende per circa 110.00 lavoratori) aderenti a CNA, Casse Edili e Confesercenti. Completano il campione delle aziende tre Cooperative sociali.
Ma di quali cifre stiamo parlando? Come si posizionano le imprese modenesi rispetto alla soglia massima di 3.000 l’anno? Nel 2018 la media dei valori dei premi di risultato erogabili a fronte del raggiungimento degli obiettivi delineati nei contratti o accordi è stata pari a 1.321 euro. Si tratta quindi di circa 100 euro per ciascuna delle 13 mensilità, che solo in parte sono incrementi rispetto ai precedenti premi di produzione non detassati. La variabilità di questo dato risulta però piuttosto elevata con un valore minimo del premio di risultato di 171 euro (Florim) e massimo pari invece a 3.000 (Panini).
Quali sono le preferenze dei lavoratori? Nelle imprese industriali un’amplissima maggioranza indica le convenzioni e gli sconti come fabbisogno da colmare attraverso il welfare aziendale. In banca la quasi metà dei dipendenti sceglie di destinare il proprio premio aziendale a “istruzione e famiglia” e “salute e prevenzione”, seguite dai fondi pensione. Nelle cooperative sociali emerge una più alta richiesta di soci e dipendenti per i servizi scolastici dei figli (scuole materne, medie superiori e inferiori). Nell’artigianato e nell’edilizia gli enti bilaterali garantiscono una serie di prestazioni ai dipendenti quali assegni di studio, contributi per nidi e materne, rimborsi per spese sanitarie, assegni per cure termali, contributi in caso di malattia ed infortunio, sussidio legge 104, integrazione maternità e sussidio per invalidità.
L’analisi condotta sulle differenti realtà produttive della Provincia di Modena ha messo in luce anche significative disuguaglianze sociali, amplificate dal crescente fenomeno del “welfare aziendale”, fra tipologie di lavoratori, fra qualifiche, fra tipologie e dimensioni di aziende e fra beni/servizi offerti.
La ricerca evidenzia poi l’esigenza di circoscrivere la definizione di welfare aziendale all’insieme dei diritti universali che dovrebbero essere garantiti dal sistema allargato di politiche pubbliche ovvero ad alcuni servizi con una più ampia valenza sociale (previdenza e sanità integrative, conciliazione vita-lavoro, sostegno alla genitorialità, sostegno alla non autosufficienza e/o disabilità di familiari, servizi educativi e scolastici nell’arco di tutto l’anno, mensa e trasporto, formazione).
Sarebbe pertanto auspicabile una modifica normativa che concentri la detassazione e la decontribuzione – che ricordiamo implicano una considerevole riduzione di entrate per lo Stato e una futura perdita pensionistica per il lavoratore – su un pacchetto più ristretto di prestazioni di welfare e corregga lo squilibrio dei vantaggi derivanti dagli sgravi fiscali, i quali favoriscono maggiormente l’impresa rispetto ai lavoratori.
Gli enti locali, nel solco di esperienze battistrada nella concertazione territoriale delle politiche di welfare, dovrebbero favorire accordi tra imprese, lavoratori e loro enti partecipati, a garanzia di condivisi livelli di qualità dell’offerta dei pacchetti di welfare aziendale. Solo in questo modo sarà possibile correggere l’attuale circolo vizioso dei consumi immediati e a scarsa valenza sociale o dei contributi a fondi sanitari integrativi per innestarne invece uno virtuoso per la fornitura di servizi di qualità e a vantaggio di una più vasta collettività.
L’educazione finanziaria potenzia il welfare aziendale
Novembre 18, 2024