Il welfare aziendale dopo il Covid-19: siamo alla settima e ultima “puntata” (dedicata al ruolo del Legislatore) della serie di appuntamenti proposti da Luca Pesenti, docente di Sistemi di Welfare Comparato e di Organizzazione e Capitale Umano all’Università Cattolica di Milano e da Giovanni Scansani, co-fondatore di Valore Welfare (gruppo Cirfood), advisor specializzato nella materia.
Lo scenario che abbiamo descritto nelle precedenti puntate non può che concludersi, last but not least, con il ruolo che, nel quadro della ridefinizione dei contenuti del Welfare Aziendale (WA), potrà essere svolto dal Legislatore.
Occupazione, salute, sicurezza nei luoghi di lavoro, reddito e rilancio dei consumi saranno ovviamente le priorità generali nei prossimi mesi. È tuttavia interessante notare come in ciascuna di queste macro-aree il WA potrà dare un contributo rilevante. Ciò sarà tanto più vero e tangibile se oltre a continuare ad incentivarlo fiscalmente, si coglierà l’occasione per separare il grano dal loglio nel suo ormai (forse fin troppo) vario contenuto.
Riordinare, aggiornare e sistematizzare
Quella verso la quale andiamo potrebbe innanzitutto rappresentare la giusta occasione per mettere ordine tra le varie voci del T.U.I.R., distinguendo meglio i servizi di (reale) rilievo sociale (da incentivare di più) da quelli oggettivamente meno ascrivibili a finalità di tale natura (volendo fare un esempio – e senza nulla togliere all’importanza dello svago – dovrebbe essere più chiaro anche sul piano normativo che un check-up sanitario sia più importante di un abbonamento alla pay-tv o di un “viaggio esperienziale in mongolfiera”).
È forse poi giunto il momento di riscrivere la norma dedicata ai cosiddetti fringe benefit, innalzando la bassissima soglia ivi prevista (258,23 euro, ossia le vecchie 500.000 lire che a suo tempo erano quasi la paga base di un operaio generico). Un adeguamento dovrebbe poter essere disposto almeno con riferimento ai voucher multiuso utilizzabili per sostenere i consumi alimentari: si potrebbe, anzi, pensare ad una specifica tipologia di voucher unicamente utilizzabili per questa finalità (distinguendo, così, il “buono spesa” da un più generico “buono acquisto”).
Altre proposte (come e ad esempio quella avanzata da AIWA, l’associazione che raccoglie i principali Provider) intendono sostenere, tramite il WA, settori particolarmente colpiti dagli effetti economici della pandemia, come il turismo, a sua volta àmbito gettonatissimo nella fruizione dei piani di WA: lo strumento potrebbe essere un “buono vacanza” sul quale sono già pronti a lanciarsi gli emettitori di ticket (molti dei quali sono anche Provider) e forse anche le società del fintech recentemente uscite allo scoperto anche nel settore del welfare (l’operatore Soldo si è aggiudicata la commessa dei “Buoni spesa Covid-19” del Comune di Milano precedendo Satispay in una gara che ha visto partecipare, senza successo, i principali emettitori di voucher). La proposta, di cui si comprende la ratio economica complessiva, apre però ancora una volta il tema relativo all’utilizzo che collettivamente intenderemo fare di questi strumenti: saranno pensati specificamente per sostenere i bisogni sociali delle persone, oppure continueranno in buona parte ad essere percepiti come forme di sostegno economico indiretto alle imprese e allo sviluppo economico? Si tratta in entrambi i casi di ottimi obiettivi di politiche pubbliche, ma il rischio è che il secondo obiettivo vada a discapito del primo.
Infine non sarebbe davvero male procedere (da parte dell’Agenzia delle Entrate) ad una sistematizzazione che possa condurre ad una completa ricognizione delle posizioni sin qui assunte in materia con gli ormai numerosi documenti di prassi affastellatisi negli ultimi anni (risoluzioni, circolari e numerose risposte a interpelli non tutte tra loro allineate). Ciò consentirebbe alle aziende, agli operatori e agli stessi lavoratori beneficiari degli interventi di WA di assumere decisioni e di operare scelte in maniera più serena e consapevole: un presupposto tanto più necessario soprattutto considerando il quadro delle grandi incertezze che ci attendono. È benessere anche questo, soprattutto in un Paese che sembra essere pensato più per gli Azzeccagarbugli che per gli operatori sociali ed economici.
Ampliare la gamma dei servizi per sostenere la ripresa
Il WA potrà poi rappresentare un booster per la ripresa specie in quei settori verso i quali si orientano i consumi ad esso collegati ed alcuni incentivi mirati potranno avere il pregio, al contempo, sia di orientare l’allocazione delle risorse da parte dei beneficiari verso servizi socialmente più significativi, sia di sostenere i settori cui quei servizi si riferiscono (è il caso, ad esempio, dei servizi alla persona) ovvero di ridurne il carico (il riferimento è al rafforzamento dei servizi integrativi del SSN tramite un loro alleggerimento quanto alla spesa pubblica ed alla loro liberazione quanto agli spazi: due esigenze tristemente emerse con la pandemia, ma valide sempre).
Da più parti – almeno per la fase contingente del sostegno alla ripresa e sino a che questa non si sarà consolidata – si propone di ampliare la gamma dei servizi rimborsabili con il “Conto Welfare” di cui dispongono i singoli beneficiari dei piani di WA, con l’evidente finalità generale di offrire un sostegno al reddito (una delle più urgenti tra le misure generali). Lo si potrà fare, ad esempio, includendo tra le spese defiscalizzate gli affitti pagati dalle famiglie per le abitazioni extra comune di residenza utilizzate dai figli iscritti in altre località (in Italia o all’estero) per seguire i percorsi di studio, ma anche le bollette delle utenze domestiche della propria residenza (eventualmente tenendo conto della RAL o dei livelli ISEE).
Analogamente potrebbe essere utile il sostegno alle spese effettuate per la formazione a distanza e per l’e-learning scolastico, ad esempio prevedendo la rimborsualità degli strumenti oggi non espressamente presi in considerazione dalla disciplina fiscale (se non nella generica categoria dei fringe benefit e dunque con i noti limiti di valore risalenti al secolo scorso: è il caso dei supporti necessari allo studio come i prodotti di cancelleria), nonché quello di altri strumenti, come quelli informatici (incluse le connessioni wifi) che nella “Fase 2” (ed anche oltre) potrebbero concretamente aiutare le famiglie sul piano del sostegno economico e anche della migliore organizzazione “da remoto” del lavoro che sembra destinato a diventare sempre più “smart”.
Altra apertura, almeno temporanea, potrebbe essere fatta verso quei presidii sanitari come mascherine, disinfettanti e guanti “usa e getta” dei quali per lungo tempo non potremo fare a meno non solo al lavoro, ma anche nella vita privata. Quest’ultimo tema rimanda poi ai possibili incentivi che potrebbero essere previsti nel T.U.I.R. rispetto alle polizze stipulate dal datore di lavoro per la copertura dei lavoratori e dei loro familiari con riguardo allo specifico rischio di contagio da virus pandemici (oggi il Covid-19), similmente a quanto s’era fatto, a suo tempo, con l’esclusione dalla materia imponibile dei premi e dei contributi versati per le polizze LTC.
Mettere in sinergia i diversi attori del Welfare
Intervenire tramite opportuni ulteriori incentivi o anche rafforzando quelli esistenti, comporterebbe il fatto che gli aspetti del WA più meritori sul piano delle ricadute sociali finirebbero per amplificarne la capacità di integrazione con i servizi del welfare pubblico, con le tutele previste dai CCNL e quelle gestite nell’ambito degli enti bilaterali di categoria. Anche in questa occasione gli enti bilaterali si sono dimostrati in molti casi – si pensi ad esempio al ruolo di anticipazione dei pagamenti della Cassa Integrazione avuto da FormaTemp, ente bilaterale dei lavoratori temporanei – fondamentali punti di riferimento anche nell’emergenza o più in generale con le dinamiche dell’economia locale (sempre se, come già osservato in una precedente puntata, il WA sia capace di contenere gli effetti di delocalizzazione insiti, ad esempio, nei “buoni acquisto” utilizzabili nell’ambito dell’e-commerce).
Queste esternalità positive del WA, sin qui sfruttate solo in alcune aree virtuose del Paese (tramite, ad esempio, “patti”, Reti territoriali e qualche bando regionale di finanziamento del cosiddetto Welfare Territoriale) diffonderebbero inoltre, sostenendole, le sinergie profit-non profit e più in generale le progettualità degli stakeholder locali. Ne deriverebbe la possibilità di incentivare maggiormente la generazione e la condivisione di best practice in grado di contaminare (nel senso migliore del termine) la cultura e la spinta all’innovazione sociale degli attori dei diversi ambiti d’intervento.
L’outcome più generale finirebbe per essere il rafforzamento della complessiva strutturazione del welfare (a prescindere dalle sue diverse declinazioni) e un incentivo nazionale riconosciuto a queste prassi potrebbe, da un lato, favorirne l’ulteriore diffusione (con gli effetti di cui s’è detto) e dall’altro condurre ad economie di scala in grado, ancora una volta, di superare il costo degli incentivi stessi, generando un surplus sociale (anche economico) del quale beneficerebbe l’intera comunità (più servizi, maggiore sviluppo di settori strategici – come quelli connessi all’ambito socio-sanitario e socio-assistenziale – crescita occupazionale ed accresciuta efficienza dell’offerta complessiva).
Ridurre le disuguaglianze
Resta un ultimo aspetto, fino ad oggi “sventolato” come bandiera ideologica da una parte del mondo sindacale con l’obiettivo più o meno esplicito di ostracizzare lo sviluppo del WA. Si tratta della tendenza (certamente non intenzionale) dei piani di WA a rafforzare le diseguaglianze tra i lavoratori utilizzando di regola l’inquadramento contrattuale come unico o principale criterio di differenziazione tra “categorie omogenee” ai fini dell’applicazione della normativa fiscale.
Tale meccanismo, applicato spesso in modo ritualistico e senza un’adeguata riflessione sui suoi impatti, si esplicita in una maggiore disponibilità di welfare per chi già guadagna di più, senza considerare le criticità della vita (dai mutui ai carichi di cura) che incidono su quei redditi.
L’osservazione di alcuni casi impostati in modo differente segnala il fatto che “un altro welfare è possibile” anche in termini di equità e riduzione delle diseguaglianze. Sono casi che hanno ad esempio previsto, accanto al criterio dell’inquadramento, anche altre variabili: la tipologia del nucleo famigliare (coppie sposate, single con figli, ecc.), il numero e l’età dei figli, la necessità di assistenza e/o sostegno a genitori anziani, e così via. Più è alto il carico di cura, più ricco il “Conto Welfare” disponibile.
La grave crisi che abbiamo di fronte a noi aumenterà certamente le difficoltà proprio relative a queste tipologie di lavoratori. Per questo riteniamo che, al di là del ruolo centrale della contrattazione nel riconoscere questa opportunità, possa essere prevista una diversa incentivazione normativa per gli importi allocati a titolo di WA prevedendo un loro incremento direttamente rapportabile alla complessità dei carichi di cura familiari: in tal modo, a parità di inquadramento e con qualche correttivo che tenga comunque conto della RAL percepita, il lavoratore con figli o con soggetti anziani o disabili presenti nel suo nucleo familiare potrebbe ricevere un sostegno più equo.
In buona sostanza si tratterebbe di prevedere ex lege (o di sostenere nei contratti di categoria) la creazione di una “categoria omogenea” ad hoc da enucleare espressamente rispetto ad una sua definizione, altrimenti, solo eventuale perché rimessa alla contrattazione di secondo livello o, in assenza, al regolamento aziendale (sino ad oggi soluzioni similari si registrano raramente e sono affidate alla sensibilità delle parti o alla lungimiranza di taluni imprenditori).
Luca Pesenti
docente di Sistemi di Welfare Comparato e di Organizzazione e Capitale Umano all’Università Cattolica di Milano
Giovanni Scansani
co-fondatore di Valore Welfare (gruppo Cirfood), advisor di welfare aziendale
7 – fine
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Novembre 18, 2024