Servizi aziendali

07 Dicembre 2021

Smart working full time? No, grazie.

smart working

Secondo l’analisi di Zwan svolta attraverso l’algoritmo ReputationRating, supportata dallo studio CIDA-ADAPT (Confederazione dei Dirigenti e dell’Alte Professionalità e Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali), l’adozione prolungata dello smart working full time nelle aziende e organizzazioni pubbliche e private, ha avuto un effetto negativo sulla loro reputazione.

Prendendo in considerazione il periodo d’esame agosto 2020 – agosto 2021, periodo di impiego prolungato e diffuso del “lavoro agile” da parte di aziende private, organizzazioni e P.A., si rileva un generale calo della reputazione – in media del 9,46%. Questo è quanto emerge dalla nuova analisi realizzata da Zwan, azienda specializzata in corporate reputation, attraverso Reputation Rating, l’unico motore di ricerca e comparazione di Brand basato su un algoritmo che offre una valutazione completa, tangibile, affidabile e imparziale della Reputazione di Paesi e Organizzazioni. L’algoritmo “Reputation Rating” pesa e misura le dimensioni della reputazione, certificando una serie di parametri oggettivi e soggettivi, attraverso la tecnologia blockchain. L’analisi è supportata dall’ultima ricerca dell’Osservatorio sul Mondo del Lavoro – Labour Issues, un progetto della CIDA e della Fondazione ADAPT, dedicata proprio al fenomeno dello smart working. Nel periodo d’analisi agosto 2020 – agosto 2021 si rileva un lieve aumento dell’occupazione (0,8 punti percentuali) e 180mila unità in meno di disoccupati. Ma questo non basta per dipingere un anno roseo del mercato del lavoro, che ha visto ben 3,2 milioni di dipendenti e 30mila amministrazioni in smart working (dati Coldiretti).

Se analizziamo il mondo del lavoro in ottica “sistemica”, possiamo osservare facilmente gli effetti negativi dell’uso prolungato dello smart working full-time. Il ritorno alla normalità – infatti – porterà benefici sui settori più dipendenti dal “vecchio mondo del lavoro” (vedi trasporti e agroalimentare su tutti) che si stima fronteggeranno cali di fatturato superiori al 20% in media (dati Coldiretti), a causa di una semplice considerazione: i lavoratori in totale smart working non viaggiano più sui mezzi e non usufruiscono più dei servizi di ristorazione nelle pause.

Su questo punto, il presidente della CIDA Mario Mantovani, in apertura del nuovo numero di Labour Issues: “Non si tratta di cavalcare in modo acritico l’ennesima trasformazione “epocale”, ma di sviluppare coerentemente le organizzazioni, sfruttando una nuova opportunità per migliorare il lavoro”. Ed è ancor più vero se guardiamo alla Pubblica Amministrazione, che con l’applicazione di limiti quantitativi generali, perde l’occasione di accelerare un percorso di riorganizzazione e digitalizzazione sempre rinviato, sullo sfondo di nuove ed estenuanti trattative contrattuali.

Dunque, il sospirato ritorno alla normalità è destinato ad avere riflessi positivi sull’efficienza della Pubblica Amministrazione e sui servizi alle persone. E questo è ancor più vero se consideriamo un altro fattore critico: l’infrastruttura digitale italiana. Infatti, specie nel primo periodo di pandemia, è risultata particolarmente debole e non ha certamente favorito i lavoratori da casa o gli studenti nell’apprendimento a distanza.

La soluzione futura sembra essere quella ibrida: secondo le ultime analisi del Politecnico di Milano, sembra che il lavoro agile resterà nell’89% delle grandi aziende e nel 62% nella PA, ma con formule per l’appunto ibride: in media 3 giornate agili nelle prime, mentre solo 2 nella pubblica amministrazione, forti dei dati incoraggianti sul miglioramento in termini di work-life balance e produttività dei lavoratori.

“La vera partita sullo smart working si gioca con il ritorno alla normalità, se diventerà un vero strumento per riorganizzare il lavoro, allora cambierà davvero la vita di molte persone, in meglio” – commenta così, su questo punto, il presidente della Fondazione ADAPT Francesco Seghezzi.

La ricerca del Reputation Rating
La ricerca reputazionale è stata effettuata incrociando dati derivanti da: analisi di media intelligence delle principali testate nazionali; analisi statistiche e macroeconomiche (Istat, Coldiretti, Polimi, Eurostat, Eurofound), Web reputation analysis; certificati e bilanci pubblici; Indagini ManagerItalia e Labour Issues. Il tutto sotto la lente dell’algoritmo brevettato del Reputation Rating. Scendendo più nel dettaglio del crollo reputazionale rilevato dal ReputationRating, notiamo che ad essere maggiormente impattati sono i Driver della Workplace & Governance (-12.93%), dove gli equilibri, la produttività e – più in generale – l’organizzazione interna del lavoro delle organizzazioni è stato l’elemento messo più a dura prova dal totale smart working; e del Prodotto e Servizio offerto (-8.15%), primo aspetto di inefficienza, scaturito proprio dall’improvvisa necessità di riorganizzazione.

“Nel 2021 gli smart worker continuano a diminuire: dai 5,3 milioni di marzo, oggi sono poco meno di 4 milioni. Se a questo, uniamo che il 28% di essi ha sofferto di tecnostress e il 17% di overworking, è evidente che la soluzione non sia l’abolizione dello smart working, ma un suo profondo ripensamento. Occorre far evolvere il lavoro in forme più adattive e intelligenti.” commenta così Davide Ippolito, cofondatore e CEO di Zwan e ReputationRating. “Le persone ricercano un legame intellettivo con l’organizzazione con la quale lavorano. Oggi bisogna puntare su uno smart working non emergenziale, capace di migliorare la produttività e la vita dei lavoratori, un fattore che impatta fortemente sulla reputazione e sulla sostenibilità dell’organizzazione stessa.” – conclude Ippolito.

A percepirlo, e dunque parliamo di Stakeholder, sono per lo più i Dipendenti (-15.39%) come rilevato specialmente dalla Sentiment Analysis che tra blog post, Social e Forum ha registrato un Sentiment negativo (58%) attorno alle principali keyword inerenti lo smart working. Anche le Clienti/Iscritti – in particolare di organizzazioni pubbliche e usufruitori di servizi della PA – sono tra gli altri Stakeholder che hanno reagito peggio al totale impiego di smart working (-13.17%).

Joe Casini, cofondatore di Zwan e ReputationRating, commenta così questo calo: “A mio avviso, è emblematico osservare il fenomeno della cosiddetta Quitting economy, che sta colpendo gli Stati Uniti: 4 milioni di lavoratori si sono licenziati, ogni mese, nell’ultimo periodo. I motivi sono semplici: necessitano maggior equilibrio, più tutele, più giustizia sociale, salari adeguati, nessuna discriminazione, più sicurezza sul lavoro… In altri termini, vogliono lavorare per organizzazioni con una migliore reputazione. Uno smart working moderno e ibrido, in questo scenario, offre una visione positiva di come possa cambiare in meglio il mondo del lavoro”.

Lascia un commento

Registrati alla nostra Newsletter