28 Agosto2024

Le nuove dinamiche del welfare aziendale: l’integrazione dei public benefit

Welfare aziendale

Oltre ai Provider di Welfare Aziendale ed alle loro ben note piattaforme web, da qualche anno sono disponibili soluzioni tecnologiche specifiche messe a punto da player specializzati che si occupano della cd. Welfare Integration, vera e propria nuova frontiera del Welfare Aziendale più evoluto (e più efficace)

Una delle questioni da sempre più dibattute in ambito welfaristico è quella della possibile integrazione tra le misure di carattere privato (aziendale e contrattuale) e quelle di natura pubblica con l’obiettivo di costruire processi sinergici tra due ambiti tradizionalmente ben poco collegati tra loro, pur avendo entrambi e in buona parte, medesimi obiettivi rispetto all’articolazione delle risposte capaci di far fronte ai più rilevanti bisogni individuali e familiari.

Il Welfare Aziendale, inteso (talvolta un po’ illusoriamente) come di per sé “integrativo” di quello pubblico, esprime interventi che si affiancano e non si sostituiscono (e spesso neppure dialogano) con quelli di matrice pubblica (nazionale o locale che sia); viceversa il Welfare Aziendale “integrato” – che, come vedremo, sta guadagnando un crescente spazio di implementazione da parte delle imprese, almeno le più avvedute – ossia quello coordinato con il Welfare Pubblico si sostanzia in interventi che, pur avendo e conservando natura occupazionale e privatistica, risultano più sinergici con quelli pubblici, in un quadro di più efficace “messa a sistema” del rapporto tra Welfare Aziendale e universalismo del Welfare State, a tutto vantaggio dei lavoratori che ne beneficiano.

Oltre lo schema dei fringe&flexible benefit

Lo scenario appena ricordato deve indurre a tenere presente che, oltre ai fringe e ai flexible benefit nei quali tradizionalmente (e un po’ riduttivamente) si sostanzia la maggior parte dei piani di Welfare Aziendale, esiste una terza categoria di benefit che, pur non essendo erogati dalle imprese, può far parte del complessivo “pacchetto” di interventi messi in atto dalle imprese. Questa tipologia di benefit vale, secondo le stime, circa 1.000/1.200 euro all’anno per singolo beneficiario: un valore capace, da solo, di raddoppiare quello medio dei piani Welfare Aziendale (attestato nel 2023 su circa 910 euro/anno pro capite come ci indica il report dell’Osservatorio Welfare curato da Edenred, azienda leader tra gli oltre 100 Provider attivi in Italia).

La “terza categoria” cui ci stiamo riferendo è quella dei cd. public benefit, terminologia ormai invalsa per identificare le numerose agevolazioni e i tanti differenti bonus messi a disposizione dallo Stato, dalle Regioni e dai Comuni (i più noti a livello nazionale sono: il bonus trasporti, il bonus psicologo e il bonus asilo nido, ma ce ne sono molti altri). In Italia queste misure pubbliche sono ormai centinaia e massimamente si riferiscono ad erogazioni cash destinate a platee molto ampie di beneficiari e soprattutto ad ambiti di intervento del tutto coerenti con quelli del Welfare Aziendale (la famiglia, lo studio dei figli, la non autosufficienza, la salute, la mobilità, la casa, ecc.).

Molte di queste misure non prevedono requisiti di tipo economico per essere acquisite, mentre, tra quelle che prevedono limitazioni da comprovare con l’attestazione ISEE, l’asticella è spesso fissata a livelli del tutto compatibili con la posizione economica nella quale ricade la gran parte dei lavoratori dipendenti (si pensi alla previsione di livelli ISEE massimi fissati a 40mila o 50mila euro) e ciò, tra l’altro, con riferimento proprio ai bonus più “ricchi”, ossia di importo maggiore (il bonus asilo nido nazionale, tanto per fare un esempio, parte da 1.500 euro e può arrivare, per il 2024, sino a 3.600 euro se l’ISEE non supera 40mila euro ed al ricorrere di altri requisiti che deve possedere il nucleo familiare). Si dirà: le lavoratrici e i lavoratori interessati saranno ben al corrente di simili opportunità, dunque perché farne una “leva” del Welfare Aziendale? È presto detto: perché è vero l’esatto contrario.

Sin dal 2015 Eurofound ci aveva reso edotti del fatto che, in media, almeno il 40% dei potenziali beneficiari delle misure di sostegno pubbliche non le conosce e che, anche ove ne abbia contezza, quelle misure sono spesso soggette ad alti tassi di desistenza dal loro take-up a causa delle complessità burocratiche. Il panorama negli anni successivi è rimasto stabile, almeno qui da noi: il report INAPP del 2022 che ha fotografato la situazione in Italia ci dice che scarsa informazione, bias cognitivi e rinunce ad affrontare le contorte procedure pubbliche di accesso alle misure riguardano almeno il 37% degli italiani.

Fa dunque una grande differenza (come si è visto anzitutto economica) per i lavoratori e le loro famiglie essere, da un lato, informati circa le opportunità di sostegno pubblico (nazionale, regionale e comunale) riferito alle principali aree di intervento sociale e dall’altro essere posti nelle condizioni di ricevere un supporto esperto per affrontare le procedure – spesso volutamente kafkiane – che impediscono un agile accesso a bonus ed agevolazioni. Inoltre, includere il superamento di questo gap conoscitivo inserendolo tra le misure di Welfare Aziendale, esprime non solo un intento socialmente meritorio da parte delle imprese (che, tra l’altro, potrebbero agevolmente rendicontarne l’impatto anche rispetto ai loro obiettivi ESG/SDGs), ma soprattutto le pone nella condizione di accrescere il valore complessivo del “pacchetto welfare” messo a disposizione dei lavoratori grazie all’apporto di misure pubbliche che rispondono alle stesse esigenze delle quali si fanno carico i piani di Welfare Aziendale.

Una nuova frontiera e un nuovo segmento di mercato: la Welfare Integration

Pur essendo un tema che alcuni avveduti HR manager e rappresentanti sindacali avevano iniziato a sollevare in maniera crescente, almeno a partire dal grande “Big Bang” del Welfare Aziendale (dal 2016 in avanti) insistendo sulla necessità di una sinergia tra pubblico e privato nell’ambito delle iniziative aziendali di sostegno al reddito ed alle necessità individuali e familiari dei lavoratori, ci si era sempre dovuti arrendere di fronte alla mancanza di uno strumento efficiente che fosse capace di rendere possibile una tale virtuosa sinergia (le informazioni sui bonus sono polverizzate nei portali di centinaia di diverse pubbliche amministrazioni, con ulteriore aggravio conoscitivo).

Da qualche anno, però, oltre ai Provider di Welfare Aziendale ed alle loro ben note piattaforme web, sono disponibili soluzioni tecnologiche specifiche messe a punto da player specializzati che si occupano della cd. Welfare Integration, vera e propria nuova frontiera del Welfare Aziendale più evoluto (e più efficace). I datori di lavoro hanno, quindi, finalmente a disposizione concrete soluzioni per accrescere il valore dei propri piani di Welfare Aziendale grazie all’apporto economico generato dai public benefit. Queste soluzioni sono oggi rese disponibili grazie all’affermazione di un nuovo segmento di mercato, quello nel quale operano aziende che si propongono come Welfare Integration Partner. Questo segmento (che possiamo ascrivere al più generale mercato nel quale operano i player dedicati al welfare d’impresa: in Italia, nel 2023, erano oltre un centinaio, come riporta l’annuale analisi curata da ALTIS-Università Cattolica) sta dando segni di grande dinamismo grazie alla crescita del numero delle aziende che includono nei loro programmi di welfare l’uso di soluzioni informative e di accompagnamento in favore dei lavoratori per metterli nelle condizioni ottimali per sfruttare appieno l’apporto di bonus e agevolazioni pubbliche a sostegno del reddito. Non solo: la Welfare Integration sta generando un effetto virtuoso anche sul piano della diffusione del Welfare Aziendale perché all’impiego di strumenti utili al take-up dei bonus pubblici accedono anche imprese che non hanno strutturati programmi di Welfare Aziendale. In questi casi dotare i lavoratori di uno strumento informativo e di accompagnamento nel variegato e complesso mondo dei public benefit può rappresentare una sorta di entry level dal quale, poi, far discendere successive evoluzioni verso più articolati interventi che potranno condurre anche alla progettazione di veri e propri piani di Welfare Aziendale (che a quel punto sarà ab origine di tipo “integrato”).

Quale che sia la condizione di partenza (grande azienda o PMI, dotata o meno di un piano di Welfare Aziendale), le imprese, senza mettere mano al portafoglio, ma sfruttando un giacimento di misure pubbliche di sostegno altrimenti ignoto o scarsamente fruito (che oltretutto esse stesse e con i loro lavoratori hanno contribuito a generare pagando le imposte!) possono incrementare in maniera consistente i valori messi a disposizione dei dipendenti a titolo di welfare (attivando, così, tutto il welfare che c’è: privato e pubblico). Alle imprese, quindi, nessun budget aggiuntivo è richiesto, ma solo lo sforzo di prestare attenzione all’evoluzione delle soluzioni disponibili verso le quali l’interesse è peraltro crescente anche grazie ad un’altra integrazione vincente: quella dei Public Benefit direttamente nelle piattaforme gestite dai principali Provider che hanno attivato apposite partnership con i Welfare Integration Partner.

Per il futuro

La considerazione che può trarsi da questo scenario è che il Welfare Aziendale esprime la sua massima efficacia solo se, oltre agli usuali fringe e flexible benefit di fonte privata, non dimentica per strada i numerosi public benefit disponibili e che la completezza dei piani di Welfare Aziendale non potrà prescindere dall’integrazione che abbiamo descritto la quale non è solo quella propriamente welfaristica (pubblico/privato), ma anche quella del mercato di riferimento. Nessun Provider, a quanto ci consta, oggi offre direttamente il servizio di Welfare Integration, ma sarebbe assai strano che un booster come quello dei Public Benefit resti ancora a lungo fuori dall’offerta complessiva proposta da questi operatori. Come sempre, in questi casi, si tratterà di scegliere uno dei due corni del tradizionale dilemma: make or buy?

Fabio Di Cosimo / Giuseppe Valeri

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