20 Marzo2025

5a Ricerca Felicità: “I flexible benefit non bastano. Serve un welfare da costruire insieme”

Ricerca Felicità

5a Indagine Osservatorio BenEssere Felicità e Up Day: pur considerando i benefit essenziali, i lavoratori stanno maturando la consapevolezza che da soli non bastano a determinare il benessere e tanto meno la felicità nei luoghi di lavoro

Come già fatto in passato, torniamo a parlare della felicità come variabile trasformativa dei processi sociali e professionali. In un’Italia meno felice del 2024 (con una media di 3.09 punti su 5 rispetto al 3.24 dell’anno scorso),  la ricerca dell’Osservatorio BenEssere Felicità realizzata con la partnership tecnica di Up Day rileva che alla domanda “Quanto ti senti felice del tuo lavoro?” le donne superano gli uomini (3.28 vs 3.23), la Generazione Z è capofila con un valore medio di 3.34 e seguono a ruota Baby Boomers (3.31), Millennials (3.27) e Generazione X (3.21).

“Welfare” è un concetto molto ampio, è vero, e l’Osservatorio insieme e grazie ad Up Day si impegnano a diffondere una nuova grammatica su questo tema. “Alla domanda “Secondo te, quanto il welfare aziendale determina la felicità dei/delle collaboratori/collaboratrici in azienda?” ci rispondono molto e moltissimo per il 60%. Questo ci conferma come, ancora una volta, il welfare aziendale sia fondamentale per garantire a tutto tondo la felicità delle persone tanto che il 45% degli italiani ritiene che i servizi di welfare fanno parte del benessere in azienda. Sempre più se guardiamo con la doppia traiettoria: ovvero ciclo di vita e rispetto alle generazioni che si interfacciano nell’organizzazione” sottolinea Elisabetta Dallavalle, Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità.

Altro aspetto nevralgico sottolineato dalla Presidente e che contribuisce a un benessere fattivo è la presa di parola, la partecipazione ai piani di welfare: “Non è un caso che le persone, come emerge dai nostri dati, colgono l’occasione per dire che loro ci vogliono essere nella co-costruzione di quello che è il supporto per loro: coinvolgere le persone appieno in questa nuova visione, credo sia ciò che farà diventare sempre più ampio il concetto di welfare e non esclusivamente legato al buono pasto o alla sola piattaforma informatica”.

“Quest’anno abbiamo visto che rallenta lievemente la Great Resignation: alla domanda se “ti piacerebbe avere la possibilità di cambiare posto di lavoro o lavoro nei prossimi 12 mesi?” il 59.9% dice di no (nel 2024 era il 55%). Rimane costante il 24% di chi vorrebbe cambiare azienda o posto di lavoro, ma scende la percentuale di chi vorrebbe cambiare lavoro o mestiere al 17% (l’anno scorso era il 21%)” aggiunge Della Valle. “Tra gli aspetti considerati più importanti nello scegliere un nuovo posto di lavoro rimane alla prima posizione “avere uno stipendio maggiore”, che rispetto al 42% dell’anno scorso sale al 48%, oltre 25 punti percentuali sopra flessibilità (22%) e opportunità di crescita (21%). Scende “l’avere un welfare dell’azienda o del settore migliore” dal 17% del 2024 al 13% e anche quest’anno lavorare in un ambiente/azienda con un marchio noto risulta essere l’ultima scelta per i lavoratori e le lavoratrici italiane.”

Tra dipendenti e autonomi sono più felici del proprio lavoro questi ultimi (3.40 vs 3.22) e i laureati lo sono più di chi non ha avuto un percorso formativo universitario (3.33 vs 3.21).

Alla domanda “Secondo te, quanto il welfare aziendale determina la felicità dei/delle collaboratori/collaboratrici in azienda?” emerge che uomini e donne sono pressoché allineati con rispettivamente una media di 3.59 e 3.58, tra le generazioni i più positivi sono i Millennials con 3.66, seguono Baby Boomers (3.61) Generazione Z (3.57) e Generazione X (3.53). Il Sud e le Isole, con 3.71, guidano geograficamente questa consapevolezza, seguono Nord Ovest (3.56), Nord Est (3.52) e chiude Centro con 3.50.

“Il territorio influisce sulla felicità delle persone e ci sono diversi studi che lo dimostrano ma questa influenza è relativa, non è assoluta. Questo perché il territorio determina in larga misura l’occupazione, quindi il reddito ed anche l’accesso ai sistemi di welfare. Così come è dimostrato che sotto una certa soglia di reddito è più complicato raggiungere condizioni di felicità, dall’ultimo studio dell’osservatorio sul benessere e sulla felicità emerge che sotto una certa soglia di welfare è più difficile realizzare sé stessi, almeno dal punto di vista professionale; peraltro, emerge anche quanto la dimensione professionale sia importante per la realizzazione di sé e, conseguentemente per il perseguimento della propria felicità. Considerato che i territori in cui è più richiesto il welfare aziendale sono anche quelli in cui è più carente il primo welfare, quello dello Stato, l’analisi potrebbe aver intercettato un bisogno di welfare a prescindere dalla fonte; anzi, forse è proprio alla funzione di integrazione (e supplenza?) del secondo welfare al primo welfare che sono rivolte queste aspettative. Tuttavia, incrociando questi dati con quelli delle più recenti ricerche focalizzate esclusivamente sul welfare aziendale traspare anche una sorta di “disincanto” nei confronti dei servizi che oggi sono fatti rientrare nell’ampia gamma dei flexible e fringe benefit. Pur considerandoli essenziali, per alcuni aspetti addirittura imprescindibili, i lavoratori stanno maturando la consapevolezza che da soli non bastano a determinare il benessere e tanto meno la felicità nei luoghi di lavoro. Allora cresce sempre più evidente la domanda di ascolto e di attenzione al fabbisogno privato, al ciclo di vita personale oltre che lavorativo, fino alla valorizzazione della persona nella sua globalità, compresa la dimensione genitoriale e di care-giver (soprattutto per la generazione sandwich “compressa” tra la cura dei figli e dei genitori anziani) come segnalato da Paolo Gardenghi Responsabile Welfare Aziendale Up Day.

Non può più essere solo un pacchetto di benefit, ma deve evolversi verso un modello che metta al centro ciclo di vita, bisogni reali, relazioni, flessibilità e supporto alla vita personale. La ricerca dimostra che il 45% degli italiani ritiene che i servizi di welfare fanno parte del benessere in azienda e solo il 34% li vede come un benefit in più per scegliere dove andare a lavorare. Per il 18% degli intervistati la propria azienda non eroga nulla, ma quello che ci ha fatto riflettere è che solo il 13% ritiene che nella propria azienda o organizzazione vengano promossi programmi di supporto alla genitorialità e solo il 10% programmi di supporto al caregiving. Quello che servirebbe al nostro Paese” ha concluso Mariacristina Bertolini – Vice Presidente, DG Up Day e Direttrice zona Euromed di UP.

METODOLOGIA

La raccolta dei dati è stata affidata all’Istituto di ricerca SWG S.p.A. e si è svolta nel periodo compreso tra il 3 e l’8 marzo 2025 con rilevazione CAWI (Computer Assisted Web Interviewing) mediante l’utilizzo di diversi device quali PC, Tablet e smartphone a seconda delle preferenze dell’intervistato.

Il numero di interviste raccolte è stato pari a 1.000 e il campione è stato distribuito tenendo in considerazione variabili territoriali (Zona Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole), dimensione del centro abitato, genere, generazione culturale (Generazione Z, Millennials, Generazione X e Baby Boomer) e sono state monitorate anche le variabili sulla tipologia di rapporto di lavoro (dipendente/autonomo), fasce reddituali e titolo di studio (laureati/non laureati).

Lucia Medri

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