29 Ottobre2020

Randstad: la rete invisibile dei caregiver

Randstad

In un recente articolo pubblicato da Randstad, si analizza il ruolo e l’azione dei caregiver e le loro potenzialità di assistenza soprattutto nell’orizzonte dell’emergenza pandemica

Il recente periodo di emergenza e il conseguente lockdown ha fatto emergere sempre più le problematiche relative alla figura del caregiver, evidenziando la fragilità dei nuclei familiari in cui operano. “Una rete invisibile e silenziosa di assistenza” la definisce Sonia Zappitelli, welfare network specialist di Randstad, che all’interno della sua ricerca evidenzia quanto i numeri di questo fenomeno in Italia attestino l’attività di circa 8,5 milioni di persone, di queste 7,3 milioni si dedicano all’assistenza dei propri parenti. Ci sono inoltre svariate realtà (più o meno strutturate) radicate su tutto il territorio, attraverso reti di consorzi e cooperative sociali, che offrono una risposta personalizzata alle famiglie che cercano servizi di assistenza per la cura dei propri cari. Secondo le rivelazioni dell’Istat, la quota di Caregiver è notevolmente aumentata negli ultimi anni. Dal 1998 al 2016 si è assistito ad un aumento di poco superiore ai dieci punti percentuali. Si è passati dal 22,8% al 33,1%. Lo squilibrio di genere emerge anche dal rapporto del 2018: il sostegno della persona cara ricade maggiormente sulle donne (35,4%) rispetto agli uomini (30,07%).

Il caregiver, continua Zappitelli nel suo articolo, è il familiare che si prende cura dei propri cari in difficoltà, ovviamente in modo gratuito. È la persona che si fa carico della gestione del malato aiutandolo nelle incombenze quotidiane. Essere un caregiver richiede quindi un impegno e una dedizione costante, un atteggiamento di devozione totale verso il proprio parente. Generalmente i caregiver sono persone adulte, a volte anziane, che assistono dei familiari con problematiche dovute all’invecchiamento, a patologie croniche a infermità. Il più delle volte si tratta di lavoratori che si trovano a dover assistere genitori, nonni o comunque parenti di una certa età, oppure figli con gravi disabilità. È meno frequente, ma non per questo impossibile, che il problema riguardi anche i più giovani. I compiti che il caregiver si assume variano da caso a caso, ma in generale prevedono: somministrare farmaci e terapie, accompagnare a visite specialistiche, acquistare medicinali, provvedere all’igiene personale del malato e alla sua vestizione, realizzare i pasti e assistere nel consumo del cibo.

“Volendo fare un’analisi di genere – spiega Sonia Zappitelli – possiamo dire che la figura professionale della donna, sia maggiormente penalizzata”. Costretta a scegliere tra la presa in carico del malato e la propria carriera, spesso trova come unica opzione percorribile quella di rinunciare al proprio lavoro.

Tuttavia, di fronte a questo slancio attivo del ruolo di queste figure, Zappitelli sottolinea che non sempre i caregiver riescono a dare un aiuto corretto, mirato ed efficace. A volte “sono confusi – ammette Sonia Zappitelli – non sanno cosa possono fare, quale esigenza ha il proprio caro, qual è la tipologia di assistenza e di aiuto di cui hanno bisogno e a chi possono rivolgersi sul territorio”. Le situazioni sono, infatti, molteplici, ad esempio un genitore anziano potrebbe aver bisogno di una RSA, oppure di una badante, ma anche di un infermiere h24 a domicilio. In altri casi è sufficiente solo l’aiuto di un operatore socio sanitario. Tra queste incertezze “spesso il familiare potrebbe scegliere l’opzione sbagliata”.

A sostenere ed aiutare l’attività di un caregiver interviene a livello nazionale la legge 104 del 1992, la normativa che fa da riferimento per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con handicap. Il suo compito è quello di garantire l’adeguato sostegno alle famiglie con una persona con disabilità. Il testo fornisce delle agevolazioni in ambito lavorativo. Infatti, per il familiare che assiste con continuità un parente con problemi “riconosciuti”, è previsto il diritto ai permessi retribuiti e il diritto a scegliere (se possibile) la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio;, inoltre non può essere trasferito senza il suo consenso in un’altra sede. Ma è atteso un testo unico che di fatto dovrebbe istituire un apposito fondo per sostenere chi svolge questa delicata figura in famiglia. Nonostante la presenza di diverse norme regionali (come ad esempio quella dell’Emilia Romagna), manca al momento una legge per il riconoscimento della figura del caregiver familiare. Gli unici riferimenti sono contenuti nella legge di bilancio 2017 (Legge n.205 del 27 dicembre”, comma 255). Le forze di maggioranza e opposizione sono però a lavoro per un disegno di legge sul tema. Proprio nel mese di luglio è ripreso l’iter parlamentare che dovrà portare alla definizione di una legge sui caregiver. Al Senato, in Commissione Lavoro, si discute del testo base, il DDL1461, composto da 11 articoli: introduce la nomina del parente dell’assistito, contributi figurativi, detrazioni, riconoscimento di crediti formativi, il ruolo delle aziende.

Ma anche le imprese possono fornire un contributo importante. “Ancor di più dopo la pandemia sanitaria da Covid-19, che ha stravolto i nostri schemi sociali e territoriali, le aziende devono necessariamente innovarsi e rispondere in maniera rapida alle nuove necessità offrendo un sano equilibrio tra vita personale e lavoro (worklife balance) disegnando nuovi modelli lavorativi incentrati su una maggiore flessibilità di orari e sulla scelta personale del luogo di lavoro (smart working)”, ha sottolineato Sonia Zappitelli. Come emerso anche dal recente Employer Brand Research 2020 di Randstad.

“Le aziende possono, inoltre, offrire un aiuto concreto nella gestione dei familiari in difficoltà attraverso un contributo di welfare aziendale, con la costruzione di percorsi di orientamento, sportelli di ascolto, analisi della situazione e gestione delle soluzioni più adatte, avvalendosi della collaborazione di enti specializzati e qualificati, in sinergia con il territorio (enti pubblici o privati)”.

Le imprese dovrebbero prestare molta attenzione a questo tipo di problematiche: la figura del caregiver è infatti più diffusa di quanto si possa pensare. Ci vuole tanta sensibilità e attenzione perché “i caregiver a volte non palesano neanche le loro difficoltà quasi fosse una vergogna o un segreto da mantenere. Spesso non hanno la consapevolezza della propria situazione né gli strumenti per affrontarla perciò si isolano dalla collettività e non chiedono supporto ai propri Hr o ai colleghi”. Una situazione di questo tipo può portare a fenomeni di assenteismo. Senza contare che il carico di responsabilità, stress e preoccupazione può diventare tale da minare concretamente la serenità e la produttività sul luogo di lavoro, generando il cosiddetto burnout.

Attraverso l’azione di Randstad e i partner scelti, le aziende possono inoltre sviluppare una rete di assistenza e costruire un sistema di welfare su base territoriale che vada al di là di quanto già previsto dalla normativa. “La persona caregiver e i suoi familiari fragili – conclude Sonia Zappitelli- hanno bisogno non solo di un aiuto specializzato e qualificato ma anche di ricevere una risposta di inclusione nella comunità e nel territorio. Per questo la sinergia col territorio, con le reti di consorzi e con le cooperative sociali è indispensabile”.

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