Come è possibile migliorare l’Employee Experience e trattenere i collaboratori migliori? Ne parliamo con Alessandro Raguseo, Founder e Ceo di Reverse società che offre alle aziende servizi di Headhunting e consulenza HR
Come si pone Reverse nel settore HR? Quali indagini avete condotto nell’ultimo anno e quali temi sono percepiti “urgenti”?
Quella di Reverse è una posizione privilegiata (Best Place to Work 2021 ndr), in quanto data-driven si colloca tra coloro che cercano nuovi candidati e gli stessi lavoratori. Per i nostri clienti, Reverse non si occupa solo di trovare il miglior candidato ma anche di offrire loro un’indagine di mercato a 360° dialogando con più interlocutori possibile. Aiutiamo il cliente ad individuare quindi l’offerta di mercato migliore, volta non solo a integrare candidati competenti ma soprattutto a trattenerli. Avendo a che fare con molti direttori e direttrici del personale, spesso promuoviamo inoltre delle survey che possano fornirci il termometro del mercato e, a tal proposito, una delle indagini più recenti è stata condotta proprio in relazione al lavoro liquido e a come è cambiato prima e dopo la pandemia. Le persone cercano adesso degli spazi fisici non dedicati – come l’ufficio ormai appartenente a una concezione novecentesca – ma coerenti con i bisogni che hanno le persone in un determinato momento. Basti pensare, per esempio, al luogo del silenzio, all’interno del quale non si parla, non risponde al telefono e ci si relaziona a gesti.
Differenze e analogie del fenomeno Grandi dimissioni tra Italia e Stati Uniti.
In America è un fenomeno piuttosto transgenerazionale nonostante ci siano dei picchi nella fascia 30-45 anni, mentre in Italia a dimettersi sono maggiormente i giovani tra i 26 e i 35 anni e coloro che vivono nel Centro Nord. Il mercato americano è più mobile e avanzato rispetto agli orizzonti di cambiamento, quello italiano invece diventa molto “mutuocentrico” specie per coloro che giungono alla soglia dei quaranta. Si ricontra una maggiore cautela nel nostro paese a cambiare lavoro visto che è un tema che genera ai più molta ansia, insicurezza e stress. A 50 anni in America non è difficile reinventarsi e scegliere un’altra professione, in Italia sì.
Secondo il Ministero del lavoro sono 524.417 gli italiani tra luglio e settembre 2021 che hanno deciso di lasciare il posto di lavoro per cercarne uno migliore, per questo i livelli occupazionali in Italia sono tornati a quelli pre pandemia con un tasso di occupazione del 59%. Qual è dunque il rapporto tra il tasso di occupazione e di dimissione?
In Italia in questo momento è in crescita il dato sul tasso di occupazione, per quanto riguarda quello relativo alle dimissioni, non vorrei sbagliare, ma ancora non abbiamo dei numeri certi considerata la novità di questa circostanza. Di recente tuttavia, AIDP si è pronunciata a riguardo. Se guardiamo ai dati fruibili che ci giungono dagli Stati Uniti, noteremo una curva in basso nel 2020: durante il lockdown non ci sono state infatti oscillazioni, che notiamo invece nel 2021 e che sono state determinate da una maggiore mobilità. Durante la pandemia c’è stato il tempo di riflettere e pensare alla propria vita, a come durante quel periodo le persone si sono sentite tutelate o meno. Chi abbandona il posto di lavoro manifesta spesso la delusione di come è stato trattato nei mesi dell’emergenza.
Quali sono i bisogni richiesti e come dovrebbero rispondere le aziende?
Secondo le analisi a nostra disposizione, notiamo una risposta tardiva da parte delle aziende per quanto riguarda le controfferte: il candidato trova sempre un’offerta più accattivante all’esterno rispetto alla quale l’azienda di appartenenza non sa rispondere. Le imprese dovrebbero lavorare molto sull’esperienza del lavoratore all’interno della realtà in cui decide di entrare: dall’assunzione, passando per le modalità scelte per lavorare, fino all’orientamento sugli obiettivi e l’equilibrio tra vita e lavoro. Come Reverse abbiamo scelto di coltivare l’Employee Experience analizzata da specialisti attraverso degli studi specifici, una “scienza della soddisfazione” che possa migliorare con una metodologia specifica ogni momento cruciale della vita professionale del dipendente. Il lavoro non deve mai inglobare la vita privata, altrimenti si rischia di fare sul capitale umano un investimento a medio termine visto che le persone sono sempre più determinate a pretendere dalle aziende il work life balance e ad abbandonarle quando questo non viene garantito.
Parliamo di un fenomeno diffuso solo tra i professionisti giovani o anche tra i senior che guardano quindi a un reskilling delle loro competenze?
Può riguardare i senior nel caso in cui si intenda un avanzamento di carriera manageriale, interessa invece, e soprattutto, le persone che non sono da molto tempo nel mondo del lavoro. La fascia di giovani che va dai 26 ai 35 anni è rappresentativa di un campione di soggetti che hanno bisogno di cose nuove e di trovare un senso a quello che fanno, di poter credere in una cultura etica del lavoro. Le aziende devono perciò essere tecnologiche, utilizzare app agili e user friendly, fornire feedback costanti riguardo i meriti delle persone, devono comunicare cura, attenzione, e aumentare il senso di appartenenza alla comunità e, inoltre, possedere all’interno dell’organico dei “buoni capi”. Il capo deve diventare sempre più un allenatore e meno colui che impartisce disposizioni.
Lucia Medri
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Novembre 18, 2024