Con Michele Bonelli, CEO di Vendor Srl, abbiamo ragionato attorno a delle politiche di welfare graduali, condivise e richieste dalla popolazione aziendale, per favorire una buona comunicazione e trasmissione evitando modelli verticistici di pianificazione
Quali azioni welfare contraddistinguono la vostra realtà e che impulso hanno avuto in questi due ultimi anni?
“Welfare” per Vendor Srl è un concetto riguardante la funzionalità che un’azienda deve avere a prescindere dalle formule incentivanti o premiali, quindi per noi è esteso a tutti gli ambiti e fa parte della mission della nostra realtà. Abbiamo istituito ormai da tre anni la premialità welfare di 700 euro riconosciuta a tutto il personale. Inoltre, sono stati intrapresi dei corsi formativi interni che valorizzano le professionalità e aumentano le soft skills. È stata anche creata una squadra, rinominata Inclusion Team, composta da nove persone selezionate in base ad alcuni requisiti, che vengono poi votate da colleghe e colleghi per essere incaricate di creare una cultura dell’inclusività e della sostenibilità. Un organo quindi che propone delle iniziative specifiche per migliorare il clima aziendale, accrescere il benessere organizzativo e l’impatto dell’azienda sia interno che esterno.
Per accrescere la consapevolezza negli strumenti di welfare, in che modo vengono comunicati i piani al personale?
Durante il periodo di lockdown abbiamo comunicato spesso tramite Microsoft Teams e mail, in modo molto poco strutturato però. Da qualche mese invece, e su iniziativa del Reparto Marketing ed HR, abbiamo approvato un house organ interno volto a comunicare in azienda le iniziative messe in atto. Poiché è l’ideatrice, sono convinto che Chiara saprà raccontarlo al meglio:
Chiara Sabatti, Marketing e Communication manager: L’idea è quella di creare uno strumento di comunicazione che possa raggiungere tutte le persone dislocate sul territorio come la rete vendita. L’house organ vuole inoltre aumentare il senso del team con l’obiettivo di strutturare una cultura organizzativa sempre più condivisa. Uno strumento digitale e distribuito a tutta la popolazione aziendale grazie al quale potranno essere avviate anche delle interviste per aumentare la conoscenza delle nostre collaboratrici e collaboratori e consolidarne la relazione. È un’attività messa in campo adesso e che sicuramente sarà poi migliorata nel corso del tempo.
L’inserimento della settimana corta come è stato pensato, su quali condizioni di partenza e improntato a quali obiettivi?
Ci terrei a sottolineare che la settimana corta non è stata ancora messa in campo e quindi potrebbe essere soggetta a cambiamenti durante questa fase di progettazione. Il tema del worklife balance è centrale, cambiano le persone e quindi anche il lavoro, per questo le aziende non potranno che affrontare questa fase. Non vorremmo però subirla ma guidare questa transizione. Un tema certo, ma anche problema da risolvere. Ritengo che la scelta di avviare la settimana corta debba seguire il raggiungimento di 10 milioni di euro di fatturato che dovremmo toccare entro un anno e mezzo circa. Con questo volume avremo la struttura e l’assetto finanziario adeguato per poterci permettere una diminuzione dell’orario lavorativo. Stiamo studiando ora come organizzarlo anche guardando alle iniziative in corso all’estero. Dovremo anche lavorare sulla mentalità perché il calcolo non sarà fatto più sul tempo lavorato ma sugli obiettivi raggiungibili in un totale di ore che sarà misurato in base a dei Kpi specifici. È un progetto che sarà quindi inserito soltanto a seguito delle dovute analisi e ragionamenti affinché non ricada sulla popolazione aziendale ma sia trasmesso correttamente.
In materia di parità di genere, qual è la percentuale di donne attualmente impiegata? E quali sono le politiche messe in campo per una maggiore inclusività?
Abbiamo il 46% di popolazione femminile e il dato rilevante è che le donne ricoprono ruoli apicali. Non abbiamo però ragionato per quote ma secondo un’evidenza di competenze, non c’è infatti una predilezione del genere rispetto alla scelta del personale. È una scelta naturale e non strumentalizzabile, neanche dal punto di vista comunicativo.
State per intraprendere il passaggio a società Benefit, un cambiamento di forma sostanziale. Come mai questa scelta?
Diventare società benefit è semplice, formalmente parlando. Molte aziende decidono di diventare società benefit e poi fare delle azioni, noi abbiamo scelto di invertire il processo. Il passaggio a società Benefit avviene oggi perché abbiamo maturato, nel corso di questi due ultimi anni, una consapevolezza di cultura interna grazie anche all’Inclusion Team e per questo intraprendiamo questo percorso, perché sono le persone che ce lo chiedono, le quali hanno accresciuto un interesse e una consapevolezza per questi temi. Farlo prima significava calarlo dall’alto con il rischio che i nostri collaboratori e collaboratrici lo percepissero come mera policy senza che appartenesse a un valore intrinseco dell’azienda.
Prossimi step futuri?
Nel 2023 vorremmo diventare B-Corp, sarà un percorso più complesso ma è l’obiettivo che ci siamo dati due anni fa e ci accingiamo a raggiungerlo.
Lucia Medri
Le nuove dinamiche del welfare aziendale: l’integrazione dei public benefit
Agosto 28, 2024