In occasione della pubblicazione del libro “Crisi reputazionali ai tempi dell’infosfera” edito da Franco Angeli, abbiamo voluto approfondire con Daniele Chieffi, giornalista, comunicatore e docente universitario, il ruolo della comunicazione nei casi di crisis management nell’ecosistema aziendale. Da una crisi possiamo imparare a creare benessere?
Com’è cambiata la gestione comunicativa di una crisi reputazionale e in che modo l’impatto dei social media è stato rivoluzionario?
È cambiato tutto perché anni fa qualsiasi elemento che avrebbe potuto scatenare una crisi non era affatto imprevisto ma deciso in maniera monopolistica dal sistema mediatico, per il quale quella stessa criticità doveva essere una notizia. Il che comportava che la crisi era quindi strettamente legata all’impatto dell’evento in sé. Con l’avvento dei social network, questo potere mediatico è transitato dai giornalisti alle audience: è il pubblico che decide. Questo passaggio ha inserito quindi un fattore probabilistico difficile da controllare: sui social network si discute di tutto e in maniera esplicita il che innesca un processo di influenza sociale reciproca creando delle mobilitazioni d’opinione che possono scaturire da un evento grave, da una battuta spiacevole o da una pubblicità sbagliata, per citare l’attualità.
Rispetto al passato, si incorre in una crisi con più facilità? Se sì, da cosa dipende?
Oggi qualsiasi cosa può potenzialmente innescare una crisi e tutto può diventare notizia e caso studio. La crisi nasce dalle discussioni nate dai social non da casistiche definibili e prevedibili.
Parliamo di crisis management in ambito welfaristico e di sane strategie di comunicazione sulle quali questo settore investe ancora poche risorse. Come dovrebbe essere improntata questa relazione coi dipendenti?
Partiamo dal presupposto che i dipendenti sono gli stakeholders più importanti per l’azienda: senza di essi l’azienda non funziona. Durante una crisi aziendale, questi diventano uno stakeholder strategico per la gestione della crisi stessa e, grazie a una leadership avveduta, potrebbero diventare strumento attivo di risoluzione del problema. Il personale dovrebbe essere infatti tutelato e coinvolto con massima trasparenza nei processi decisionali e nei risultati, creando comunità e fiducia sopratutto nei momenti più difficili e complessi. Il dipendente essendo dunque portatore d’interesse è potenzialmente un elemento critico per l’azienda che però può diventare driver di cambiamento, di capacità e racconto reputazionale.
Cosa si aspettano i giovani dalla comunicazione aziendale?
Per la Gen Z tutto è comunicazione e reputazione, qualsiasi modalità di comportamento di un’azienda fa comunicazione nel senso più ampio del termine. I giovani oggi non guardano la comunicazione aziendale intesa solo come produzione di messaggi promozionali, ma la considerano nelle scelte e impegni che prende rispetto ai temi importanti di responsabilità sociale e ambientale. Lo studio dell’Osservatorio GenS ha individuato alcuni fattori chiave che si aspettano i giovani: trasparenza, sincerità, vicinanza e fiducia. Le promesse del brand devono essere mantenute, tradita questa fiducia ci troviamo nello scenario della crisi.
Quali sono gli aspetti di problem solving indispensabili che ciascuna azienda, piccola media grande impresa dovrebbe tenere a mente?
La crisi è un problema di percezione, su come un fatto viene interpretato dalle persone. Il campo di gioco non è più informativo e correttivo ma la partita si svolge sul far comprendere, sul convincimento e consapevolezza delle persone. Il primo passo è chiedere scusa assumendosi la responsabilità che qualcosa non ha funzionato; il secondo è dimostrare coi fatti che la comprensione dell’errore si traduce nella volontà fattiva di porre rimedio e il terzo passo è quello di non cadere in atteggiamenti arroganti. Le persone non fraintendono è la comunicazione aziendale che ha sbagliato.
Lucia Medri
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Novembre 18, 2024