COVIP. Pubblicato il rapporto semestrale della commissione di vigilanza sui fondi pensione. Continua a essere basso il numero di italiani che si fanno convincere ad aderire alla previdenza complementare
Tempi duri per i fondi pensione. Nel primo semestre del 2022 i risultati delle forme complementari hanno risentito della caduta dei corsi dei titoli azionari e del rialzo dei tassi di interesse, che a sua volta determina il calo dei corsi dei titoli obbligazionari. Al netto dei costi di gestione e della fiscalità, i rendimenti sono risultati negativi e pari a -8,3 e a -9,7 per cento, rispettivamente, per fondi negoziali e fondi aperti; nei PIP di ramo III essi sono stati pari a -10,3 per cento. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato marginalmente positivo, 0,5 per cento.
Sono i dati contenuti nel rapporto semestrale della Covip, la commissione di vigilanza sui fondi pensione. I numeri sono accompagnati da una considerazione: “Valutando i rendimenti su orizzonti più propri del risparmio previdenziale, nei dieci anni da inizio 2012 a fine 2021, il rendimento medio annuo composto è stato pari al 4,1 per cento per i fondi negoziali, al 4,6 per i fondi aperti, al 5 per i PIP di ramo III e al 2,2 per cento per le gestioni di ramo I; nello stesso periodo, la rivalutazione del TFR è risultata pari all’1,9 per cento annuo. Aggiungendo ai dieci anni i sei mesi del 2022, i rendimenti medi annui restano positivi: 3,1 per cento per i fondi negoziali, 3,4 per i fondi aperti e 3,7 per cento per i PIP di ramo III; sono pari al 2,1 per cento i prodotti di ramo I. La rivalutazione del TFR nello stesso periodo è del 2,2 per cento”.
Come dire: attenzione, non dimentichiamo che il risparmio previdenziale non si misura negli strappi di breve periodo. Ciononostante continua a essere basso il numero di italiani che si fanno convincere ad aderire alla previdenza complementare. Alla fine di giugno del 2022 le posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari hanno raggiunto quota 10 milioni, in crescita di 280.000 unità (+2,9 per cento) rispetto alla fine del 2021. Ma gli iscritti non vanno oltre i 9 milioni di individui (c’è chi ha più posizioni aperte). L’apporto maggiore alla crescita è arrivato, oltreché dai fondi per i quali sono attive le adesioni contrattuali – che per i nuovi assunti di diversi settori hanno luogo automaticamente attraverso il versamento di un contributo minimo a carico del datore di lavoro sulla base dei contratti nazionali di riferimento – anche dal fondo rivolto al pubblico impiego, per il quale è stata attivata l’adesione attraverso il cosiddetto silenzio-assenso per tutti i lavoratori pubblici neo assunti a partire da una determinata data.
Nelle forme pensionistiche di mercato, si rilevano 53.000 posizioni in più nei fondi aperti (+3 per cento) e 24.000 posizioni in più nei PIP nuovi (+0,7 per cento); a fine giugno, il totale delle posizioni in essere in tali forme è pari, rispettivamente, a 1,788 milioni e 3,637 milioni di unità. Le risorse destinate alle prestazioni sono, a fine giugno 2022, pari a 207 miliardi di euro; per effetto delle perdite in conto capitale determinate dall’andamento dei mercati finanziari, le risorse sono diminuite di circa 5,6 miliardi rispetto a dicembre del 2021. Nei fondi negoziali, l’attivo netto è di 63 miliardi di euro; esso ammonta a 27 miliardi nei fondi aperti e a 43,7 miliardi nei PIP “nuovi”. Nei primi sei mesi del 2022 i contributi incassati da fondi negoziali, fondi aperti e PIP nuovi sono stati pari a 6,2 miliardi di euro, 266 milioni di euro in più (+4,5 per cento) rispetto al corrispondente periodo del 2021. L’incremento si riscontra in tutte le forme pensionistiche.
Marco Barbieri
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