Previdenza

03 Luglio 2019

1400 miliardi fermi in banca: la terapia contro l’incertezza

L’auto-assicurazione è la forma di previdenza più praticata. Alcuni dei dati offerti dall’analisi del Censis, in collaborazione con il Forum Ania-Consumatori dimostrano le abitudini degli italiani

Lo Stato o la fortuna. O il malloppo nascosto sotto il materasso. Gli italiani per difendersi dai rischi coltivano queste tre soluzioni. La prima è un’abitudine che ci stiamo abituando a smettere, con fatica. Abbiamo creduto per decenni che lo Stato provvedesse a tutto. Che ci fossero risorse per tutto. Oggi, lentamente, stiamo scoprendo che garantire tutto a tutti è (e sarà sempre più) un problema. Poi arriva la buona sorte. Se in un anno gli italiani spendono più di 100 miliardi in giochi d’azzardo e lotterie, vuol dire che sono creduloni o dissipatori. Il malloppo, il risparmio, il denaro messo da parte, è la modalità più sicura, più concreta per assicurarsi di poter far fronte a emergenze di ogni tipo: dai problemi di salute ai danni derivanti da piccole o grandi alluvioni. Ma è la migliore?

I soldi sul conto corrente sono la più praticata forma di auto-assicurazione. I 1400 miliardi fermi in banca, liquidi, pronti per ogni evenienza, sono senz’altro figli dell’incertezza sul futuro e dei bassi rendimenti offerti dagli investimenti finanziari, ma sono anche (e soprattutto?) la scelta di chi non è abituato a contrarre polizze assicurative. Rispetto al 2008 il contante è aumentato di 201 miliardi di euro, un valore pari al Pil del Portogallo. Il cash che non smette di aumentare nei portafogli delle famiglie è la terapia contro l’incertezza. Il 64,1% degli italiani riesce ancora a risparmiare. Di questi, il 66,1% per fronteggiare spese impreviste e il 52,3% per sentirsi le spalle coperte. Sono alcuni dei dati offerti dall’analisi del Censis, in collaborazione con il Forum Ania-Consumatori.

L’Italia è un Paese ancora largamente sotto-assicurato. Meno dell’1% del Pil viene investito in contratti contro i rischi di natura diversa, dalla protezione contro i danni da catastrofi naturali (terremoti, alluvioni, dissesti idrogeologici) a quelli derivanti dal cyber risk; da quelli prodotti da malattie o infortuni, a quelli generati dall’attività imprenditoriale o professionale.

Un livello troppo basso di copertura assicurativa può essere un rischio e un costo per la società in generale e per le imprese, che potrebbero soffrire perdite difficilmente recuperabili. L’Italia non è il solo Paese sotto-assicurato, ma in Europa, e in Occidente siamo in coda.

L’ultima pubblicazione curata dai Lloyd’s e dal “Centre for economics and business research” (Cebr) “A World at risk”, registra 162,5 miliardi di dollari di risorse sotto-assicurate. Bangladesh, India, Vietnam, Filippine, Indonesia, Egitto e Nigeria hanno un indice di penetrazione assicurativa di meno dell’1% del Pil. Come l’Italia. La situazione migliora in Europa: se nei Paesi industrializzati si registra una penetrazione assicurativa del 2,1%, in Europa lo stesso dato si attesta a 2,9%. Pesano i Paesi Bassi, che si confermano il Paese maggiormente assicurato, con una penetrazione del 7,7%.

Parliamo del ramo Danni (esclusa l’auto, coperta da una Rc obbligatoria). Per quanto riguarda il ramo Vita le performance sono migliori, ma ci avventuriamo in quell’area in cui l’assicurazione diventa un investimento finanziario, non una protezione. Il vero nuovo orizzonte è invece proprio quello della nuova protezione sociale, del nuovo welfare, di fronte al Welfare State che si sta inevitabilmente ritirando per quantità e qualità della copertura. “L’assicurazione è un grande mutualizzatore di rischi e redistribuzione di risorse” ha dichiarato nei giorni scorsi Carlo Cimbri, ad di Unipolsai al convegno promosso da “Il Messaggero”, “Obbligati a crescere”.

Marco Barbieri

Articolo pubblicato su Il Messaggero lo scorso 28 giugno

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