Non solo una questione di tecnicismi: parliamo del libro Fringe e flexible benefit, piani di welfare aziendale di Fabio Ghiselli e Ilaria Campaner Pasianotto la cui analisi evidenzia l’importanza del welfare aziendale come risorsa per la collettività e il sistema economico
Con la legge di stabilità del 2016 il welfare aziendale ha cambiato segno. La possibilità di convertire i premi di risultato in benefit all’interno di un piano di welfare ha cambiato di molto la percezione della stessa parola “benefit”. Negli ultimi due anni, tra il 2021 e il 2022, abbiamo poi assistito a un curioso balletto di cifre che hanno spostato verso l’alto l’asticella della defiscalizzazione dei benefit indicati nell’articolo 51 del Tuir (Testo unico delle Imposte sui Redditi). Dalla metà degli anni Ottanta la cifra erogabile in beni e servizi aggiuntivi alla retribuzione era stata fissata in 500mila lire, 258,23 euro. Dopo il Covid la somma era stata portata a 500, poi a 600 euro. A fine 2022 addirittura a 3000. Per poi tornare, dal primo gennaio di quest’anno a 258,23 euro.
Insomma intorno al welfare aziendale da qualche anno si è creata un’attenzione meritoria, anche se un po’ disordinata. Molti si auspicano che sia venuto il tempo di sistemare una normativa che si è sedimentata per strati, spesso incoerenti anche nella terminologia. In questo contesto ogni sforzo di chiarezza è utile. Uno degli ultimi contributi in questo senso viene da Fabio Ghiselli, autore con Ilaria Campaner Pasianotto del volume Fringe e flexible benefit, piani di welfare aziendale (Guide Operative Ipsoa, seconda edizione, prefazione di Giovanni Scansani). “In un unico volume sono trattati gli aspetti civilistici, contabili e fiscali per l’azienda e per il dipendente, ma anche quelli giuslavoristici, connessi con la contrattazione collettiva e individuale”.
Un volume tecnico? Sì, ma che si sintonizza con la crescente attenzione rivolta alle risorse umane. Dopo la pandemia il capitale umano sembra diventato più prezioso, o semplicemente si è scoperto che lo è davvero. L’investimento in capitale umano è dichiarato sempre più centrale nelle organizzazioni aziendali. E il welfare aziendale attiva le leve essenziali per rendere il luogo di lavoro (fisico o remoto che sia) più adeguato al benessere complessivo della persona che lavora.
Ghiselli espone una analisi puntuale dei “benefit” aziendali più ricorrenti, distinguendoli per aree (dalla previdenza integrativa all’assistenza sanitaria, passando per le attività di educazione e ricreazione per dipendenti e familiari, solo per indicare alcune delle categorie) e fornendo le ragioni economiche più diffuse per inserirli nei piani individuali e collettivi.
L’attualità del dibattito aggiunge attualità al volume di Ghiselli. La contrapposizione tra fringe e flexible benefit – che ha impegnato molte riflessioni alla fine dello scorso anno, con l’innalzamento temporaneo della soglia di defiscalizzazione a 3000 euro, e il conseguente rischio percepito di “voucherizzazione” del welfare aziendale – non può essere solo nominalistica. E forse offre una conferma della necessità di rimettere mano complessivamente alla materia.
Sul welfare aziendale – all’interno della cornice del welfare integrativo o sussidiato – si sono accumulate ricerche e indagini ricorrenti, ad opera di soggetti coinvolti nel mercato (il rapporto condotto da Unipol e Ambrosetti, l’indagine di Generali, quella di Adapt per Intesa, solo per citarne alcuni, senza quelle fornite dai tanti provider che operano nel mercato). La conferma indiretta che forse è venuto il tempo che il legislatore (e il Governo) rimetta mano alla materia. Il Governo Meloni ha indicato nel welfare aziendale uno dei punti programmatici al momento del suo insediamento.
In attesa che le parole diventino norma – e norma coerente e non discontinua – la lettura del volume di Ghiselli consente di orientarsi in una giungla che richiede guide sicure e competenti. Soprattutto in un momento storico nel quale sembra essere sul punto di essere secolarizzato il sacro totem della retribuzione, sempre più percepito come la somma di denaro e di prestazioni aggiuntive di beni e servizi che possano valere per una migliore qualità della vita dei dipendenti e quindi per una migliore produttività dell’azienda.
“Insomma, il welfare aziendale rappresenta una risorsa per la collettività e il sistema economico. Rimane integrativo di quello universale pubblico, ma risponde a delle esigenze che quest’ultimo non riesce a coprire in modo soddisfacente” sintetizza Ghiselli. Dal 2016 siamo passati da un welfare aziendale di nicchia, “illuminato” (molte grandi aziende avevano già praticato servizi di welfare aziendale per i propri dipendenti) a un welfare aziendale di massa. Oggi occorre una razionalizzazione. Il volume di Ghiselli fornisce una mappa utilissima nell’attesa di una normativa aggiornata e coerente.
Marco Barbieri
L’educazione finanziaria potenzia il welfare aziendale
Novembre 18, 2024