Come è cambiato il lavoro con la pandemia e il modo di rapportarsi ad esso inserendolo nella vita privata? Ne parliamo con Giancarlo Tanucci, direttore scientifico del festival Brain At Work Lab, svoltosi la scorsa settimana, presidente Federformazione e docente di psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni presso Università degli Studi di Bari Aldo Moro
All’indomani dell’emergenza sanitaria, non ancora totalmente finita, cosa ci si aspetta dal lavoro e cosa dovrebbe offrire, e non togliere, alla vita delle persone?
Quella che abbiamo vissuto è una profonda rivoluzione basata su un maggiore coinvolgimento delle persone. Se prima il lavoro veniva percepito come un’incombenza, oggi con la pandemia l’individuo si fa maggiormente carico di organizzare e gestire le problematiche relative ad esso. Il lavoro era separato dalla vita sociale e familiare, distanza ora assottigliatasi a favore dell’interconnessione tra i due ambiti, per questo è importante il work-life balance che lascia spazio a una maggiore responsabilità e autonomia. Per questo necessitiamo di ulteriori competenze utili alla gestione e alla progettazione.
Quali sono le soluzioni welfare più richieste dai candidati quando vanno a fare un colloquio?
Si registra una maggiore attenzione circa le implicazioni che il lavoro comporta. Bisogna non solo lavorare ma comprendere come accrescere il proprio profilo di competenze e la propria appettibilità nel mercato del lavoro. Il soggetto diventa responsabile del proprio percorso di carriera. Inoltre, bisogna comprendere la gamma degli spazi di flessibilità dell’organizzazione del lavoro e come modulare l’esperienza. Emerge inoltre l’attenzione per l’ambiente e la salute ma anche e soprattutto per la reputazione sociale dell’azienda che si sceglie.
Smart working sì o no? Pro e contro. Quanti e quali aziende hanno deciso di mantenerlo tra i propri piani di lavoro?
Innanzitutto l’alternativa a favore o contro lo smart working potrebbe essere declinata in maniera diversa: il lavoro agile sarà parte integrante del sistema del lavoro, per il quale è opportuno capire e conoscere le normative che lo regolamentano. Una ricerca dell’Ocse ha evidenziato come più del 70% delle persone dipendente intervistate è favorevole allo smart working, ma solo il 38-39% dei datori è disponibile a pensarlo. Il sistema è quindi pronto a gestire una situazione organizzativa in cui i dipendenti sono in smart working? Le aziende più orientate allo smart working sono i servizi ad alto contenuto di conoscenza, quelli in cui la manipolazione dell’information è più elevata. Le aziende lo preferiscono perché il personale è più produttivo, è un dato di fatto: le persone sono più efficienti nell’organizzazione del lavoro, nella conciliazione tra famiglia e lavoro e le aziende possono reclutare talenti che non appartengono all’area prossimale della realtà, con minori costi e maggiore salvaguardia dell’ambiente. Convergono così le motivazioni dei collaboratori circa la flessibilità dell’organizzazione dell’agenda lavoro con gli aspetti familiari, e quelle delle imprese in relazione all’efficienza delle prestazioni.
In che modo stanno cambiando gli uffici e saranno ancora necessari?
Questa è una delle conseguenze inevitabili dettate dallo smart working. È necessario un cambiamento organizzativo delle modalità del lavoro che diventano intercambiabili non solo dal punto di vista fisico ma anche del management. Quanto i manager sono capaci di configurare i progetti produttivi? Altro aspetto del cambiamento comprende la dimensione sociale, gli architetti stanno studiando la riformulazione degli spazi privati perché anche la casa diventerà un luogo di lavoro. Nell’ambito della psicologia del lavoro si stanno sviluppando studi relativi all’ambiente dell’ufficio che non sarà più solo un luogo di lavoro ma di condivisione.
L’orizzonte lavorativo verso il quale andiamo incontro, sarà effettivamente più sostenibile, inclusivo e rispettoso della parità di genere?
Il rischio è che ci possa essere una deriva di esclusione. Tempo fa organizzai una ricerca sull’idea di lavoro per bambini e adolescenti dalla quale emerse che il lavoro è fuori casa, escludendo quindi il lavoro di cura familiare. Oggi questo rapporto binario tra interno/esterno dentro/fuori casa salterà inevitabilmente perché già sta cambiando il lavoro e i suoi luoghi. Sarà importante in quest’ottica il Diversity Manager, specializzato nelle pratiche di inclusività e nella gestione di queste pluralità, questa figura dovrà tenere conto delle diversità, non solo di genere, ma di posizione e approccio, sul come e dove si lavora. Portare in evidenza le specificità dell’individuo, credo possa effettivamente rendere più sostenibile il lavoro e promuovere un orientamento verso l’inclusione. Inoltre, è sempre più indispensabile pensare dei piani di educazione al lavoro che possano cambiare l’attitudine verso assiomi culturali indistruttibili ormai troppo radicati tra le bambine e i bambini.
Lucia Medri
L’educazione finanziaria potenzia il welfare aziendale
Novembre 18, 2024