Dall’assistenza sanitaria alla società della comunicazione: le nuove competenze per chi fa informazione devono tenere conto dell’empatia per rispettare la dignità umana. Una riflessione di Valentina Pelliccia
“È una parola importante, libertà, senza la quale si potrebbe anche dire che “non c’è giornalismo”.
Sono due termini che contaminano e sviluppano. Il modo di fare informazione cambia, così come cambia il concetto di libertà. Essa è il presupposto del giornalismo”, queste le parole con cui Vittorio Roidi, Presidente della Federazione nazionale della stampa dal 1992 al 1996 e Segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti fino all’anno 2007, si è espresso nel suo corso “La libertà”. L’essenza del giornalismo è ricerca, scoperta, acquisizione di notizie, è analisi critica. La professionalità di un giornalista si esprime nella capacità di porre in condizione il cittadino-lettore di formare i suoi giudizi, creare o verificare le sue verità. Il giornalismo è storicizzazione della quotidianità. Occorre interpretare la società che cambia e i bisogni informativi emergenti, soprattutto in un periodo come quello attuale nel quale la complessità dei fatti esige una completezza di informazione.
“Libertà significa capacità di porre domande, non soltanto possibilità di ricevere risposte. E non ci si può illudere che l’aumento generale delle informazioni a disposizione dell’individuo porti necessariamente ad un aumento delle sue conoscenze; sicché il rischio è forte che questa così chiamata società dell’informazione si riveli una società della disinformazione e dell’ignoranza” (“Studiare da giornalista. Teoria e pratica”, Volume 1, a cura di Gianni Faustini, Sergio Lepri e Silvano Rizza).
Assistiamo ad una proliferazione dell’offerta di informazione sempre più in aumento, ma che rimane in gran parte inutilizzata; dall’altra parte, ad una domanda di informazione che cresce anch’essa, ma che rimane in buona parte insoddisfatta.
“È evidente che le nuove tecnologie hanno portato a un aumento eccezionale della produzione di informazioni, senza che i produttori si siano resi conto degli effettivi bisogni del mercato. Si possono supporre le ragioni del fenomeno: la manipolazione delle fonti del messaggio, l’insufficienza dei media di mediare tra la fonte e il destinatario (scelta dei contenuti, oscurità del linguaggio, ignoranza dei meccanismi psicologici della lettura o dell’ascolto), la difficoltà del fruitore di gestire l’informazione in un tempo di fruizione che rimane limitato nell’arco della giornata”, come riportato da Sergio Lepri.
La comunicazione non è altro che l’espressione della società, caratterizzata, secondo Daniel Goleman, dalla tendenza ad una “lenta disintegrazione del senso della comunità, insieme ad uno spietato atteggiamento di autoaffermazione che fanno la loro comparsa in un momento in cui le pressioni economiche e sociali richiederebbero, piuttosto, un aumento della cooperazione e dell’attenzione verso gli altri e non certo una riduzione di tale disponibilità”. Tale disgregazione della società si riflette anche sulla comunicazione. Ma Goleman aggiunge, inoltre, che insieme a questa atmosfera di incipiente crisi sociale, ci sono anche i segni di un crescente malessere emozionale.
Dalla lettura di Emotional Intelligence si evince, infatti, l’importanza dell’alfabetizzazione emozionale: un insieme di abilità, fondamentali come quelle intellettuali, attraverso le quali si arriva ad un equilibrio e sana gestione delle capacità interpersonali essenziali.
L’intelligenza emotiva (QE) si basa sulla disponibilità ad ascoltare davvero ciò che l’altro ha da dire e a sintonizzarsi empaticamente con il suo stato emotivo, a prescindere dall’essere o meno d’accordo. Si tratta della capacità di percepire emozioni, accedere a esse e saperle generare per sostenere il pensiero razionale, comprendere sentimenti altrui, e saperli gestire in modo da promuovere la crescita intellettuale ed emotiva. Ed è fondamentale: basti pensare che al QI viene riconosciuto un impatto sulle capacità individuali di appena il 25%, mentre la componente emotiva (QE) impatta per oltre il 54%. Durante un confronto occorre anche evitare accuse, soffermarsi sulla circostanza specifica che ha innescato il litigio, evitando così giudizi assolutizzanti, svalutazioni rivolte alla globalità della persona.
Tra le caratteristiche fondamentali dell’intelligenza emotiva espresse dallo psicologo statunitense riscontriamo infatti: padronanza di sé, ossia la capacità di dominare stati interiori, impulsività e rabbia, ma anche l’empatia, ovvero la capacità di sentire gli altri entrando in un flusso di contatto che comporta la consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui. È importante esprimere la propria contrarietà senza aggressività, in un’ottica costruttiva e non distruttiva, ricordando che l’altro non è un nemico da combattere. È importante decifrare la propria rabbia, affinché possa essere compresa e poi affermata in maniera assertiva, comunicando con l’interlocutore senza aggredirlo.
In sintesi, per una efficace comunicazione occorre, oltre alla libertà di informazione, anche un’alta percentuale di intelligenza emotiva. Secondo Goleman, questa disintegrazione all’interno della società del senso della comunità si ripercuote in vari ambiti oltre a quello della comunicazione, ad esempio, anche nel campo della medicina. Infatti, l’autore afferma: “Troppo spesso l’assistenza sanitaria moderna manca di intelligenza emotiva”(“Mente e Medicina”- “Intelligenza Emotiva”).
Ma, al di là del concetto di libertà in senso stretto e di alfabetizzazione emozionale, sussiste un diritto fondamentale, ben delineato all’articolo 1 (Principi generali) del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (art. 25 Legge n. 675/96), ossia, il contemperamento del diritto fondamentale della persona con il diritto dei cittadini all’informazione e con la libertà di stampa.
In forza dell’art 21 della Costituzione, infatti, la professione giornalistica si svolge senza autorizzazioni o censure. In base all’articolo 5, in netta contrapposizione con la proliferazione dell’offerta di informazione sempre più in aumento e della domanda di informazione che cresce anch’essa, ma che rimane in buona parte insoddisfatta, “il giornalista garantisce il diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione, evitando riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti”. Ma, soprattutto, si sensi dell’articolo 10 del Codice deontologico relativo all’attività giornalistica, la pubblicazione è ammessa nell’ambito del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione e sempre nel rispetto della dignità delle persone malate (e nel rispetto della dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica, n.d.r.).
Ciò significa che il giornalista, nel far riferimento allo stato di salute di una determinata persona, identificata o identificabile, ne rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, specie nei casi di malattie gravi o terminali (e si astiene dal pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico), ai sensi del dell’art 10 comma 1 del Codice deontologico. Più in generale, nella Costituzione italiana la valorizzazione della dignità umana risiede nell’art. 2, nella parte in cui si afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Alla base di questo articolo viene garantito il principio della Costituzione di cui all’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Inoltre, secondo l’art 41 “l’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Alla luce di questi elementi, possiamo affermare che il giornalismo, ad oggi, risponda a tutte queste prerogative?
(*) Valentina Pelliccia
Giornalista Funzione Comunicazione, Studi e Marketing Strategico presso Banca del Fucino S.p.A.
8 Ottobre2021
Commenti e interviste, Dossier
Intelligenza emotiva e libertà: il valore del giornalismo
Dall’assistenza sanitaria alla società della comunicazione: le nuove competenze per chi fa informazione devono tenere conto dell’empatia per rispettare la dignità umana. Una riflessione di Valentina Pelliccia
“È una parola importante, libertà, senza la quale si potrebbe anche dire che “non c’è giornalismo”.
Sono due termini che contaminano e sviluppano. Il modo di fare informazione cambia, così come cambia il concetto di libertà. Essa è il presupposto del giornalismo”, queste le parole con cui Vittorio Roidi, Presidente della Federazione nazionale della stampa dal 1992 al 1996 e Segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti fino all’anno 2007, si è espresso nel suo corso “La libertà”. L’essenza del giornalismo è ricerca, scoperta, acquisizione di notizie, è analisi critica. La professionalità di un giornalista si esprime nella capacità di porre in condizione il cittadino-lettore di formare i suoi giudizi, creare o verificare le sue verità. Il giornalismo è storicizzazione della quotidianità. Occorre interpretare la società che cambia e i bisogni informativi emergenti, soprattutto in un periodo come quello attuale nel quale la complessità dei fatti esige una completezza di informazione.
“Libertà significa capacità di porre domande, non soltanto possibilità di ricevere risposte. E non ci si può illudere che l’aumento generale delle informazioni a disposizione dell’individuo porti necessariamente ad un aumento delle sue conoscenze; sicché il rischio è forte che questa così chiamata società dell’informazione si riveli una società della disinformazione e dell’ignoranza” (“Studiare da giornalista. Teoria e pratica”, Volume 1, a cura di Gianni Faustini, Sergio Lepri e Silvano Rizza).
Assistiamo ad una proliferazione dell’offerta di informazione sempre più in aumento, ma che rimane in gran parte inutilizzata; dall’altra parte, ad una domanda di informazione che cresce anch’essa, ma che rimane in buona parte insoddisfatta.
“È evidente che le nuove tecnologie hanno portato a un aumento eccezionale della produzione di informazioni, senza che i produttori si siano resi conto degli effettivi bisogni del mercato. Si possono supporre le ragioni del fenomeno: la manipolazione delle fonti del messaggio, l’insufficienza dei media di mediare tra la fonte e il destinatario (scelta dei contenuti, oscurità del linguaggio, ignoranza dei meccanismi psicologici della lettura o dell’ascolto), la difficoltà del fruitore di gestire l’informazione in un tempo di fruizione che rimane limitato nell’arco della giornata”, come riportato da Sergio Lepri.
La comunicazione non è altro che l’espressione della società, caratterizzata, secondo Daniel Goleman, dalla tendenza ad una “lenta disintegrazione del senso della comunità, insieme ad uno spietato atteggiamento di autoaffermazione che fanno la loro comparsa in un momento in cui le pressioni economiche e sociali richiederebbero, piuttosto, un aumento della cooperazione e dell’attenzione verso gli altri e non certo una riduzione di tale disponibilità”. Tale disgregazione della società si riflette anche sulla comunicazione. Ma Goleman aggiunge, inoltre, che insieme a questa atmosfera di incipiente crisi sociale, ci sono anche i segni di un crescente malessere emozionale.
Dalla lettura di Emotional Intelligence si evince, infatti, l’importanza dell’alfabetizzazione emozionale: un insieme di abilità, fondamentali come quelle intellettuali, attraverso le quali si arriva ad un equilibrio e sana gestione delle capacità interpersonali essenziali.
L’intelligenza emotiva (QE) si basa sulla disponibilità ad ascoltare davvero ciò che l’altro ha da dire e a sintonizzarsi empaticamente con il suo stato emotivo, a prescindere dall’essere o meno d’accordo. Si tratta della capacità di percepire emozioni, accedere a esse e saperle generare per sostenere il pensiero razionale, comprendere sentimenti altrui, e saperli gestire in modo da promuovere la crescita intellettuale ed emotiva. Ed è fondamentale: basti pensare che al QI viene riconosciuto un impatto sulle capacità individuali di appena il 25%, mentre la componente emotiva (QE) impatta per oltre il 54%. Durante un confronto occorre anche evitare accuse, soffermarsi sulla circostanza specifica che ha innescato il litigio, evitando così giudizi assolutizzanti, svalutazioni rivolte alla globalità della persona.
Tra le caratteristiche fondamentali dell’intelligenza emotiva espresse dallo psicologo statunitense riscontriamo infatti: padronanza di sé, ossia la capacità di dominare stati interiori, impulsività e rabbia, ma anche l’empatia, ovvero la capacità di sentire gli altri entrando in un flusso di contatto che comporta la consapevolezza dei sentimenti, delle esigenze e degli interessi altrui. È importante esprimere la propria contrarietà senza aggressività, in un’ottica costruttiva e non distruttiva, ricordando che l’altro non è un nemico da combattere. È importante decifrare la propria rabbia, affinché possa essere compresa e poi affermata in maniera assertiva, comunicando con l’interlocutore senza aggredirlo.
In sintesi, per una efficace comunicazione occorre, oltre alla libertà di informazione, anche un’alta percentuale di intelligenza emotiva. Secondo Goleman, questa disintegrazione all’interno della società del senso della comunità si ripercuote in vari ambiti oltre a quello della comunicazione, ad esempio, anche nel campo della medicina. Infatti, l’autore afferma: “Troppo spesso l’assistenza sanitaria moderna manca di intelligenza emotiva”(“Mente e Medicina”- “Intelligenza Emotiva”).
Ma, al di là del concetto di libertà in senso stretto e di alfabetizzazione emozionale, sussiste un diritto fondamentale, ben delineato all’articolo 1 (Principi generali) del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (art. 25 Legge n. 675/96), ossia, il contemperamento del diritto fondamentale della persona con il diritto dei cittadini all’informazione e con la libertà di stampa.
In forza dell’art 21 della Costituzione, infatti, la professione giornalistica si svolge senza autorizzazioni o censure. In base all’articolo 5, in netta contrapposizione con la proliferazione dell’offerta di informazione sempre più in aumento e della domanda di informazione che cresce anch’essa, ma che rimane in buona parte insoddisfatta, “il giornalista garantisce il diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione, evitando riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti”. Ma, soprattutto, si sensi dell’articolo 10 del Codice deontologico relativo all’attività giornalistica, la pubblicazione è ammessa nell’ambito del perseguimento dell’essenzialità dell’informazione e sempre nel rispetto della dignità delle persone malate (e nel rispetto della dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica, n.d.r.).
Ciò significa che il giornalista, nel far riferimento allo stato di salute di una determinata persona, identificata o identificabile, ne rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, specie nei casi di malattie gravi o terminali (e si astiene dal pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico), ai sensi del dell’art 10 comma 1 del Codice deontologico. Più in generale, nella Costituzione italiana la valorizzazione della dignità umana risiede nell’art. 2, nella parte in cui si afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Alla base di questo articolo viene garantito il principio della Costituzione di cui all’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Inoltre, secondo l’art 41 “l’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Alla luce di questi elementi, possiamo affermare che il giornalismo, ad oggi, risponda a tutte queste prerogative?
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