7 Aprile2021

La felicità è una variabile trasformativa

Osservatorio sulla felicità

L’Osservatorio sulla Felicità è il primo barometro della felicità della popolazione italiana attiva nel mondo del lavoro. L’inizio di un sistema di misurazioni oggettive, con cadenza annuale, per aiutare le organizzazioni a divulgare ed educare sul tema della felicità in ambito lavorativo.

Per la prima volta è stato presentato nel nostro Paese il report dell’Associazione Ricerca Felicità, un “osservatorio che, pur mantenendo gli occhi puntati sulle novità, nazionali e internazionali, sulle ricerche e sulle pubblicazioni riguardanti i vari aspetti del mondo del welfare, wellbeing e happiness, sia in grado di misurarle nel territorio italiano e offrirle al mondo delle istituzioni, organizzazioni profit, non profit, scuole ed enti educativi e media”. A voler fortemente un Osservatorio permanente per comprendere lo stato attuale di felicità e benessere nel nostro Paese, sono stati il professore Sandro Formica, Ph.D. della Florida International University, e Elga Corricelli ed Elisabetta Dallavalle fondatrici di ELEhub – società benefit che si occupa di implementare modelli di Wellbeing & Happiness attraverso tecniche e percorsi che generano positività, creatività e innovazione per il bene comune, consapevole che la felicità è una competenza scientificamente provata.

Il welfare per le due fondatrici intervistate è innanzitutto “un obiettivo da raggiungere attraverso un processo di co-costruzione attuato strategicamente” che possa davvero comportare un “traghettamento verso la positività”. L’Associazione Ricerca Felicità ha rilasciato i primi dati sullo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, sia nella dimensione aziendale sia in quella individuale e sociale, fotografando sei obiettivi d’indagine:

  • felicità in generale
  • solitudine e isolamento
  • felicità al lavoro
  • senso di appartenenza
  • discriminazione
  • lavoro e suo significato

Come sottolineato da Dallavalle, la finalità è comprendere “come generare valore e non perdere tempo nel conflitto”. La neonata associazione invita infatti istituzioni, organizzazioni profit e non profit, scuole, enti educativi e media al confronto fornendo il “punto zero” di un’analisi che sarà svolta anno su anno.

La survey ha coinvolto 1.314 persone, suddivise tra lavoratori dipendenti (72,3%) e liberi professionisti  (27,7%), suddivisi per sesso con una media ponderata di 42.3% di donne e il 57,7% di uomini, appartenenti alle 4 generazioni (Baby Boomers, Generazione X, Millennials, Generazione Z) in rappresentanza della popolazione italiana attiva nel mondo del lavoro.

Ci siamo focalizzati nell’ambito lavorativo ma di fatto il centro della nostra ricerca è sempre l’individuo. Con questa raccolta di dati non c’è nessuna pretesa di trovare una risposta ma un punto da cui partire per ampliare il dialogo e capire con quali strumenti agire per aumentare il benessere sul lavoro nel nostro Paese. Non consideriamo la felicità un sentimento fugace ma una “meta-competenza” che può permettere, attraverso l’inclusività  e le ricchezze dei singoli, un nuovo benessere organizzativo” afferma Elisabetta Dallavalle, Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità. “I dati mostrano una popolazione mediamente soddisfatta, ma quello su cui va assolutamente puntata l’attenzione è la mancanza di allineamento valoriale tra lavoratori e imprese e la mancanza di orientamento al futuro. Siamo un Paese che dovrà fondare tutto sulla creatività e sulle potenzialità innovative di ripresa per consentire all’Italia, di uscire da questo grave periodo di rallentamento medio dell’Economia. Riteniamo quindi sia fondamentale ascoltare con attenzione i segnali deboli che provengono da questi dati, soprattutto in merito all’importanza di far leva sull’ascolto attivo e attento dei propri collaboratori. Ci sono opportunità incredibili, per la redditività delle imprese e per la loro crescita a livello competitivo in Italia e nel mondo, quando si valorizzano le aspirazioni individuali dei collaboratori e si aiutano a esprimere se stessi sul lavoro”.

Il self aware è la parola chiave sulla quale puntare nel prossimo futuro affinché ciascuna persona possa essere in grado di affrontare non solo le sfide professionali ma anche e soprattutto quelle appartenenti alla dimensione personale e a come questa si rispecchia nella quotidianità del lavoro.

Emerge che il 16% ritiene che l’affermazione “esprimo le mie emozioni senza essere giudicato” nell’ambiente di lavoro sia assolutamente falsa, mentre quasi il 30% si ritiene poco concorde con l’affermazione “i miei meriti vengono sempre riconosciuti”. Tra i Baby Boomers è significativamente più elevato il peso di coloro che ritengono riconosciuti in modo assolutamente adeguato i loro meriti rispetto alle altre generazioni (31% contro una media di 20/21%).

Se si analizza la dimensione felicità in generale e la soddisfazione della vita, emerge che tra i rappresentanti della generazione Z solo il 19% si trova concorde a ritenere che la propria vita sia vicina al proprio ideale, contro il 28% dei Baby Boomers. Anche nella dimensione legata alla solitudine/isolamento si può notare come questi siano maggiormente sentiti dai giovani/giovanissimi rispetto agli adulti, si passa infatti dal 21% fino al 10% (dai più giovani ai più anziani) di coloro che sentono questi problemi e dal 42% al 57% di coloro che non si sentono particolarmente toccati dalla questione.

Il disallineamento con le nuove generazioni, sostengono Corricelli e Dallavalle, è sintomatico di una mancanza di “cultura della felicità” ed è da questo punto zero che bisogna partire perché la felicità non è data ma la si costruisce insieme, è una “variabile trasformativa” che deve sottendere alla relazione tra i collaboratori e le aziende.

I dati che riguardano la percezione che ha la generazione Z sulla felicità, ci devono far riflettere perché costituiscono una sorta di monito e di direzione importante da dare agli imprenditori italiani. Ci troviamo di fronte a una generazione che non accetterà di considerarsi “felice” solo per il fatto di avere un lavoro – come pare di leggere dai dati –  ma chiede allineamento culturale e sceglierà di lavorare con le aziende che rispettano i propri valori. I disagi esposti devono fungere da monito e riteniamo fondamentale lavorare sulla componente emotiva e sul potenziale che talvolta sembra rimanere inespresso. Crediamo sia importante stimolare i giovani fin dalle scuole primarie alla scoperta dei propri talenti, del proprio purpose e nell’uso del capitale potentissimo che tutti noi abbiamo: l’Immaginazione” afferma Elga Corricelli co-founderdell’Associazione Ricerca Felicità. “L’immaginazione stimola la curiosità e grazie ad essa si può attuare un gran cambiamento positivo che genera innovazione e oggi, le aziende, chiedono costantemente innovazione e talenti che possano contribuire al cambiamento. Crediamo possano esistere sacche incredibili di capitale creativo e innovativo inespresso da far circolare nelle nostre aziende italiane”.

Con la volontà di offrire strumenti al mondo del lavoro per allineare i propri valori con quelli dei propri collaboratori per una crescita corale, la dimensione del lavoro è stata analizzata da diversi punti di vista e si osserva come le frasi “mi fa capire le persone e il mondo che mi circonda” con il 27.9 % e “contribuisce alla mia crescita personale” con il 25,3% siano stati indicati in modo estremamente preponderante da chi ritiene questa affermazione “vera” nel contesto nel suo lavoro, mente le frasi “soddisfa tutti i miei bisogni” con il 27,1%  e “ho una carriera piena di significato” con il 24% siano quelle scelte da chi le ritiene “false” ossia per nulla riscontrabili nel proprio ambito lavorativo. Il 15.3% ritiene che l’affermazione “ha un impatto positivo per il mondo” riferita all’azienda in cui lavora sia assolutamente falsa e alla domanda se il proprio lavoro “fa la differenza” solo il 7.6% crede sia assolutamente vero contro il 13.5% assolutamente falso.

“Crediamo sia fondamentale, per chi coordina persone, prendere in seria considerazione il soddisfacimento dei bisogni di collaboratori o dipendenti. In ogni azienda ci dovrebbe essere un piano di sviluppo dei bisogni perché il benessere aziendale si traduce in performance migliori. Questa è scienza e una ricerca di Ernst & Young realizzata assieme all’Università di Harvard*, ha dimostrato che le aziende che lavorano perché tutti i propositi siano allineati, rendono agli investitori fino a dieci volte di più” commenta Sandro Formica, VicePresidente e Direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità. “Non sottovalutiamo quindi il potenziale inespresso che si otterrebbe aiutando i propri lavoratori ad esprimere  emozioni e creatività. Non fermiamoci di fronte alla sensazione di soddisfazione generale che potrebbe essere dettata da rassegnazione piuttosto che da reale felicità. Non sottovalutiamo i segnali deboli che si evincono da lavoratori che si sentono meno soddisfatti, in generale, sul riconoscimento dei loro meriti (media 3,33) o soddisfazione sulle opportunità di carriera dove il 23,7%, la maggior parte dei lavoratori, indica che è soddisfatto pochissimo”.

La necessità emersa dal confronto avuto con le due fondatrici è quella inoltre della creazione di un nuovo lessico della felicità, per il quale le aziende non si contraddistinguano più per il raggiungimento di una mission ma attraverso le finalità di cambiamento di un purpose che possa incidere sul miglioramento della vita delle persone e trasformarlo in azioni che incidano sull’ottimizzazione dei risultati al lavoro.

Lucia Medri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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