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29 Aprile 2021

Il premio di risultato più forte del Covid secondo l’Agenzia delle Entrate

premio di risultato

A seguito della Risposta n. 270 del 20.4.2021. data dall’Agenzia delle Entrate, Giovanni Scansani e Mariano Delle Cave si interrogano sulla risoluzione dei limiti dell’impostazione relativa al Premio di Risultato

Durante questa drammatica pandemia le imprese hanno saputo spesso trasformarsi da “posto” di lavoro a vero e proprio “luogo” nel quale i lavoratori hanno potuto trovare anche un fattivo supporto per affrontare le difficoltà che via via insorgevano nella sfera del lavoro e in quella della vita, sempre più (con)fuse nel “lavoro da remoto forzato” impropriamente definito dai più come Smart Working.

È in questa riscoperta del legame tra persone e imprese che aziende e lavoratori hanno potuto stringere un “patto” più forte nel tentativo, spesso riuscito, di preservare il “bene comune” rappresentato dalla continuità dell’attività aziendale (e quindi dei posti di lavoro). L’azienda, in sostanza, è stata vissuta come una “comunità di destino” nella quale capitale e lavoro si sono riconosciuti nell’impegno congiunto di “non mollare”. Da qui poi quella produzione di accordi aziendali che, a partire da quelli destinati a dare concreta attuazione ai “protocolli anti-contagio”, hanno introdotto (o rinforzato, se già presenti) taluni meccanismi di “partecipazione organizzativa” sulla cui base sarà possibile immaginare ripartenze più robuste, animate da uno spirito di maggiore collaborazione ed orientamento al risultato (il che, poi, sarà funzionale anche alla possibile introduzione di più autentiche forme di “lavoro agile”).

Tuttavia questi sforzi, nella forma della “partecipazione economica” (che è spesso associata a quella organizzativa), non potranno essere materialmente riconosciuti sulla base della disciplina che regola il Premio di Risultato (PdR). Quest’ultima, come noto, impone il conseguimento di target incrementali misurabili sulla base di indicatori il cui raffronto dev’essere operato in base ad un “periodo congruo” (in genere a base annua) preso come riferimento: in assenza del raggiungimento degli obiettivi le componenti variabili dei salari non potranno essere corrisposte fruendo della tassazione sostituiva al 10%. Con l’ulteriore conseguenza che non percependo il PdR non si potrà neppure dare luogo alla sua eventuale conversione in Welfare Aziendale (WA), anch’essa prevista dalla disciplina dei premi di produttività.

Welfare Aziendale premiale

Il limite di questa impostazione, emerso con evidenza in questa fase di grave criticità (i PdR sui target 2020 in molti casi non saranno erogati nel 2021 per il mancato raggiungimento degli obiettivi proprio a causa dell’emergenza sanitaria), è stato superato da quelle aziende che hanno ridefinito le proprie policy di incentivazione adottando soluzioni di cd. “WA premiale” (si veda la Ris. Ag. Entrate 55/E del 25.9.2020) le quali, pur basate sulla misurazione di risultati aziendali oggettivamente misurabili, essendo sganciate dalla disciplina del PdR consentono il riconoscimento delle componenti variabili delle retribuzioni a fronte del raggiungimento di risultati aziendali anche non incrementali. Come si comprende agevolmente, nel pieno della pandemia, questa soluzione ha dato (e potrà dare) soddisfazione a quei team di lavoro i cui sforzi avranno consentito anche “solo” il contenimento delle negative conseguenze generate dagli effetti dell’emergenza sanitaria sui conti economici delle imprese.

PdR con indicatori “omogenei”

Peraltro non tutto è perduto neppure per i PdR per i quali è stato possibile far salvo l’impianto complessivo della loro quantificazione laddove vi sia stato un intelligente intervento delle parti volto a ridefinire le grandezze oggetto della comparazione occorrente per verificare l’incremento delle stesse nel confronto tra due esercizi finanziari. È infatti stata riconosciuta la possibilità di ricalcolare il valore degli originali indicatori per neutralizzare gli effetti portati dalle norme emergenziali sul regolare svolgimento dell’attività d’impresa e quindi sui risultati da essa conseguiti e da utilizzarsi per la verifica dell’incremento del dato assunto come parametro di valutazione.

È proprio questa la strada validata dall’Agenzia delle Entrate con la Risposta n. 270 del 20.4.2021.
Il caso affrontato è quello di un’azienda il cui accordo integrativo stipulato nel 2019 aveva prescelto come indicatore il valore dell’EBITDA (nel confronto tra il dato del 2018 e quello del 2019). Nelle more del rinnovo dell’accordo per il 2020 è stato prorogato quello precedente (assumendo ora il confronto tra l’EBITDA del 2020 e quello del 2019), ma è poi arrivata la pandemia e con essa la legislazione emergenziale che nel caso di specie (si tratta di un’azienda operante in un settore non essenziale organizzata sul territorio con numerosi punti vendita) si è tradotta nel blocco totale delle sue attività.

Emergeva, così, che l’EBITDA del 2020, per fattori del tutto esogeni rispetto alla gestione d’impresa, non poteva essere confrontabile con il medesimo indicatore dell’esercizio precedente. Le OO.SS. hanno allora chiesto di valutare la possibilità di apportare dei correttivi e ne è così derivata una modificazione dell’elemento assunto quale criterio di calcolo al fine – si legge nell’interpello – di “tenere conto degli impatti sul business della Società causati dalla prolungata chiusura della rete dei punti vendita”.

Ciò si è tradotto nel ricalcolo dell’EBITDA del 2019 “riducendolo in proporzione al numero dei giorni di sospensione dell’attività del 2020”. Si tratta dunque di un caso nel quale il “periodo congruo” richiesto per la corretta verifica della generazione di risultati incrementali è stato ridefinito dalle parti riducendone la complessiva durata (non più tutto l’esercizio annuo, ma solo i mesi corrispondenti alle regolari aperture dei punti vendita) e quindi anche il valore di riferimento utile per il confronto.

In tal modo l’EBITDA 2019 adjusted è risultato omogeneo a quello del 2020 consentendo una realistica comparazione tra le due grandezze che ha consentito di salvaguardare il premio per il team aziendale, benché il suo ammontare massimo abbia anch’esso subìto un corrispondente adattamento (in minus) rispetto all’originario valore complessivo. Non solo. Così facendo, si è salvata la funzione incentivante del PdR e si è potuta dare continuità anche alla sua eventuale conversione in WA, preservando i meccanismi di sostegno individuale e familiare che contraddistinguono quest’ultima prassi. Tale impostazione è stata condivisa dall’Agenzia delle Entrate con la risposta citata e ciò sulla premessa che “la rideterminazione del periodo congruo” dovuta all’emergenza Covid-19 “non osta all’applicazione del regime agevolato” associato al trattamento fiscale del PdR.

Del pari non sono state ravvisate criticità nell’aver ricalcolato il valore di riferimento dell’indicatore di redditività costituito dall’EBITDA del 2019, in conseguenza della sospensione delle attività aziendali avvenuta nel 2020, in quanto tale operazione “consente ugualmente di poter rilevare un incremento attuale di redditività”. In sostanza lo schema trova il suo fondamento nel fatto che le parti hanno ridisegnato “sulla base di un criterio matematico e non discrezionale” la durata del “periodo congruo” utile ai fini della maturazione del premio potendo, così, ugualmente “rilevare un incremento attuale di redditività attraverso il confronto di due dati omogenei”. Va da sé che un’analoga operazione avrebbe potuto compiersi anche in relazione ad altri indicatori suscettibili di tale omogeneizzazione e che di ciò le imprese potranno tenere conto per il 2021 (ed oltre) anche al fine di preservare i livelli di compensation dei lavoratori sui quali, nel lungo perdurare delle criticità causate dalla pandemia, essi vorranno poter fare affidamento.

Giovanni Scansani

(consulente aziendale, esperto di welfare aziendale e co-fondatore di Valore Welfare)

Mariano Delle Cave

(avvocato e dottore di ricerca in Diritto del Lavoro)

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