Con Emmanuele Massagli, presidente di Aiwa (l’Associazione italiana del welfare aziendale) abbiamo voluto fare una analisi degli effetti prodotti dalla Legge di bilancio appena varata, sul mercato del welfare aziendale.
Prima del varo della manovra si è fatto un gran parlare di taglio al cuneo fiscale, ma nella sostanza qualcosa (poco) cambierà solo dal primo luglio, e solo per chi ha una retribuzione superiore a 25mila euro. Il solito sistema degli interventi a margine. “Il costo del lavoro resta più o meno quello che è, purtroppo. Se dobbiamo vedere il mezzo bicchiere pieno, potremmo dire che il mancato taglio al cuneo fiscale potrebbe assicurare nuova linfa e nuove opportunità per le soluzioni di welfare aziendale”. Con Emmanuele Massagli, presidente di Aiwa (l’Associazione italiana del welfare aziendale) abbiamo voluto fare una analisi degli effetti prodotti dalla Legge di bilancio appena varata, sul mercato del welfare aziendale.
“Le opportunità di defiscalizzazione e decontribuzione offerte dalla conversione di premi di risultato, secondo le norme stabilite nel 2016 sul welfare aziendale, restano le uniche occasioni effettive per ridurre il costo del lavoro, almeno nella sua parte collegata ai risultati conseguiti dalle imprese. Quindi nessun taglio diretto al cuneo fiscale, ma per le imprese che fanno utili e redistribuiscono risultati c’è ancora un modo per ridurre l’impatto fiscale: il welfare aziendale”. Se dobbiamo credere che nel 2020 l’Italia tornerà a crescere – lo speriamo tutti, non solo per l’ottimismo di necessità di chi governa – dobbiamo pensare che saranno di più le imprese in condizione di distribuire premi di risultati e quindi di utilizzare le modalità alternative alla monetizzazione. I numeri del welfare, fonte Aiwa, indicano oltre 100.000 imprese coinvolte e quasi 2.500.000 lavoratori di imprese private beneficiari di piani di valore medio attorno ai 700 euro.
“Gli interventi a margine hanno un effetto di annuncio politico; nella sostanza, anche per il 2020, l’unico modo di ridurre la fiscalità del lavoro è data dai piani di welfare. Potremmo dire che non avere ristretto gli spazi sia già una buona cosa per consolidare e sviluppare il nostro mercato” aggiunge Massagli: “Lo si vede anche con i processi in atto di accorpamento, acquisizione, alleanze commerciali tra i provider, anche a livello di agenzie per il lavoro. Il welfare aziendale si sta definendo come una prassi inevitabile, conveniente, praticabile in tutte le organizzazioni di lavoro”.
Niente nuove, buone nuove: il fatto stesso di non cambiare, di non restringere il perimetro degli interventi, è una opportunità di crescita. In assenza di altre novità.
“Resto dell’idea che allo sviluppo pieno e alla maturazione del mercato – continua Massagli – servirà l’integrazione a pieno titolo del Terzo settore nel perimetro del welfare aziendale, anche per ribadirne la finalità sociale”. Aiwa aveva chiesto che i residui non goduti dei piani di welfare potessero diventare risorsa per le associazioni del Terzo settore: “Non tocca solo al pubblico stornare piccole o grandi quote a sostegno dei soggetti socialmente attivi e meritevoli. Oltre al 5 per mille potrebbe essere resa disponibile questa ulteriore modalità di sostegno finanziario. Aiwa aveva avanzato anche la proposta di cessione del credito welfare a colleghi che abbiano necessità di cura proprie o di propri familiari, similarmente a quanto già avviene per le ferie. Sarebbe anch’essa una misura di natura sociale”. E sarebbe un segnale importante e a costo zero. “Abbiamo chiesto anche di inserire un vantaggio fiscale per chi nei piani di welfare inserisse anche il pagamento dell’affitto dei figli che studiano fuori sede: sarebbe un triplo risultato. Aiutare i nostri giovani cervelli a studiare in Italia, favorire la solidarietà familiare, far emergere il nero di tanti affitti studenteschi”. Massagli continua: “Come Aiwa avevamo anche chiesto un inserimento di norme che favorissero il sostegno dei malati oncologici cronici. Si tratta di provvedimenti a impatto fiscale nullo o quasi; per i quali servirebbe la politica, e uno sguardo di medio periodo, che oggi non è dato”.
Ultimo, ma non ultimo, dalla manovra appena approvata, emerge la già annunciata novità sui buoni pasto. E cioè: il valore non imponibile dei buoni pasto scende da 5,29 a 4 euro, se si tratta di buoni pasto cartacei, sale da 7 a 8 euro, se si tratta di buoni pasto elettronici. Il Governo conta di incassare 20 milioni all’anno in questa transizione, che premia il cashless e la tracciabilità anche nel buono pasto, il primo gradino di ogni piano di welfare aziendale. Gli emettitori hanno accettato il rischio e stanno scommettendo sulla lungimiranza delle 90mila aziende (enti pubblici compresi) che utilizzano questo tipo di benefit per i loro dipendenti e che non saranno tentate dalla riduzione del valore del buono, quanto piuttosto dalla conversione a breve in buono elettronico. A oggi sono circa 2,4 milioni i lavoratori italiani che dispongono di buoni pasto (1,6 milioni dipendenti di imprese private, 800mila dipendenti pubblici). Il valore del singolo buono pasto è determinato solo dalla scelta dell’azienda, ma ovviamente la grande maggioranza dei voucher ha un valore uguale o inferiore a quello della massima detraibilità. Infatti, il valore medio del circolante è di 5 euro, appena sotto la soglia dei 5,29 euro.
Marco Barbieri
L’educazione finanziaria potenzia il welfare aziendale
Novembre 18, 2024