5 Dicembre2025

Dentista? No sanità integrativa? Ahi Ahi…Il buco nero dell’odontoiatria

sanità integrativa

A seguito della divulgazione della ricerca inerente l’accesso alle cure odontoiatriche, intervistiamo Paolo Barbieri CEO e Founder di Welfare4You per approfondire il ruolo potenziale di un’integrazione tra welfare pubblico, bilaterale e aziendale

In questi giorni è stata diffusa la ricerca “Accesso alle cure odontoiatriche: costi e opportunità (mancate) tra sanità pubblica e welfare bilaterale”, realizzata da Percorsi di Secondo Welfare con il supporto di Welfare4You e Blubonus. Lo studio affronta un tema di forte interesse pubblico e sociale: l’accesso alle cure odontoiatriche in Italia, le criticità legate ai costi e alle disuguaglianze, e il ruolo potenziale dell’integrazione tra welfare pubblico, bilaterale e aziendale per ampliare l’accesso alle cure e migliorare la sostenibilità del sistema sanitario.

Abbiamo chiesto a Paolo Barbieri, CEO e Founder di Welfare4You, di fare con noi un approfondimento sul tema, attraverso questa intervista. L’indagine conferma una cosa nota: per l’odontoiatria c’è di fatto solo out-of-pocket o sanità integrativa. Ma aggiunge elementi che possono andare oltre la frammentazione che caratterizza le informazioni sul tema. La ricerca parte certamente da un dato di fatto noto – la marginalità del pubblico in ambito odontoiatrico – ma va ben oltre la semplice conferma, offrendo una sistematizzazione inedita di un settore caratterizzato da una profonda opacità informativa. Il valore aggiunto dello studio risiede in tre contributi originali che non erano disponibili in letteratura fino ad oggi:

1. Una mappatura inedita dell’offerta: Abbiamo colmato un gap conoscitivo analizzando nel dettaglio 44 fondi sanitari di origine contrattuale. Fino ad ora, mancava un quadro organico che non si limitasse a dire che i fondi esistono, ma spiegasse cosa offrono esattamente. Lo studio svela le logiche di copertura per settore produttivo, evidenziando forti disuguaglianze: ad esempio, mentre nel terziario e nei servizi l’offerta è capillare e diversificata, in settori come l’agricoltura la protezione è ancora modesta.

2. La quantificazione del dislivello e il ruolo dei Fondi: La ricerca mette nero su bianco la sproporzione delle forze in campo. A fronte di una spesa pubblica per l’odontoiatria ferma a 85 milioni di euro (appena lo 0,2% della spesa sanitaria ambulatoriale pubblica), documentiamo come i fondi sanitari (nello specifico quelli di tipologia B) stiano diventando il vero pilastro di sostegno, destinando ben 713 milioni di euro all’anno – il 67% delle loro risorse integrative ai LEA – proprio all’odontoiatria. Questo dato trasforma la percezione del fondo: da strumento ‘integrativo’ a fattore essenziale di sostenibilità delle cure.

3. L’analisi qualitativa del Non-Take-Up: Infine, lo studio non si limita ai numeri, ma indaga le barriere all’accesso. Abbiamo acceso un faro sulla ‘povertà informativa’ e sulle complessità burocratiche che generano il fenomeno del non-take-up non solo nel pubblico, ma paradossalmente anche nella sanità integrativa. Milioni di lavoratori hanno diritto a prestazioni che non utilizzano per mancanza di consapevolezza o fiducia, un aspetto che le macro-statistiche economiche non rilevano.

Se dovessimo mettere in fila le novità emerse quali elementi potrebbe sottolineare?

Al di là della conferma macroscopica, ci sono quattro elementi di assoluta novità che emergono dall’analisi dei dati e che la letteratura precedente non aveva mai messo a fuoco con questa granularità:

1. L’emersione della ‘Sanità Sostitutiva’ di fatto: Il dato finanziario che abbiamo isolato è sorprendente. I fondi di tipologia B destinano il 67% delle risorse vincolate per prestazioni ‘integrative ai LEA’ proprio all’odontoiatria: parliamo di 713 milioni di euro in un solo anno. Questo certifica che la sanità integrativa non sta offrendo un ‘lusso’ in più, ma sta vicariando una mancanza strutturale del SSN, diventando di fatto il pilastro primario per la salute orale di milioni di lavoratori.

2. La mappatura qualitativa dell’offerta (non solo quantitativa): È la prima volta che vengono analizzati nel dettaglio i piani sanitari di 44 fondi contrattuali. Abbiamo scoperto che l’offerta privata si è adattata ai bisogni moderni più velocemente del pubblico: ad esempio, il 70% dei fondi copre l’implantologia (tecnica moderna e costosa), mentre le protesi classiche sono coperte solo dal 23%. Questo dimostra una capacità di lettura del bisogno che al pubblico manca.

3. Le disuguaglianze settoriali (i 3 Cluster): La ricerca svela che non tutti i lavoratori sono protetti allo stesso modo. Abbiamo individuato tre cluster distinti: settori molto protetti come il Terziario e Servizi (alta copertura e molti fondi), e settori fragili come l’Agricoltura o il Lavoro Domestico, dove la sanità integrativa è ancora marginale. Questa è una novità sociologica rilevante: la disuguaglianza non è più solo tra chi ha il fondo e chi no, ma dipende dal settore in cui si lavora.

4. Il paradosso del Non-Take-Up integrativo: Infine, abbiamo documentato che l’accesso alle cure è ostacolato non solo dai costi, ma dalla complessità. Esiste una ‘povertà informativa’ che colpisce anche chi ha la copertura. Il lavoratore spesso ignora di avere diritto a un rimborso o trova le procedure burocratiche dei fondi troppo complesse (piani di cura, fatture dettagliate, ecc.), rinunciando al beneficio. Questo è un tema quasi assente nel dibattito pubblico.

Il non take up pubblico è fattore noto, purtroppo. Ci sono opportunità che non vengono sfruttate dai possibili beneficiari. Quello della sanità integrativa come lo spiegate?

Il non-take-up nella sanità integrativa è un fenomeno complesso che la ricerca ha indagato a fondo, facendo emergere cause non solo burocratiche ma anche culturali e fiduciarie. Possiamo sintetizzare in tre macro-aree:

1. Povertà Informativa e Frammentazione: Abbiamo riscontrato che spesso alla povertà economica si affianca una ‘povertà informativa’. Molti lavoratori non sanno di avere diritto a queste coperture o non riescono a districarsi tra procedure complesse e piani sanitari frammentati e molto variabili da fondo a fondo. Manca spesso una comunicazione trasparente tra fondo e azienda, il che genera disinteresse o inconsapevolezza nel dipendente.

2. Il fattore ‘Fiducia’ vs Risparmio: Questo è un punto cruciale emerso dalle interviste qualitative. L’odontoiatria è un ambito ad alta intensità fiduciaria. Molti assistiti rinunciano al vantaggio economico della struttura convenzionata perché preferiscono il proprio dentista di fiducia, percepito come più sicuro. Come ci ha detto un intervistato: ‘una famiglia magari rinuncia a un vestito, ma l’apparecchio per i denti lo fa mettere dal dentista di fiducia’, accettando di pagare di più pur di non cambiare specialista.

3. Barriere lato Offerta (i Dentisti): C’è poi un problema strutturale legato ai professionisti. Dalle interviste emerge che molti odontoiatri escono dai network convenzionati perché i tariffari sono troppo bassi e gli oneri burocratici insostenibili per i piccoli studi (piani di cura dettagliati, controlli ex-ante ed ex-post, certificazioni). Questo riduce la capillarità territoriale dell’offerta convenzionata, disincentivando il lavoratore all’utilizzo del fondo.

Quanti dei 16 milioni di iscritti ai fondi fanno ricorso a cure odontoiatriche private? Quanti sono i pazienti?

È fondamentale distinguere tra la platea degli ‘aventi diritto’ e quella dei ‘fruitori effettivi’, ed è proprio qui che risiede uno dei nodi critici evidenziati dalla ricerca.

1. Il dato ‘buco nero’: Il numero esatto di pazienti che usufruiscono delle prestazioni non è disponibile. La ricerca evidenzia come criticità strutturale il fatto che i fondi non abbiano l’obbligo di pubblicare i rendiconti sui consumi reali né sul numero di prestazioni erogate. Di conseguenza, i 16,2 milioni di iscritti rappresentano la platea potenziale (coperta contrattualmente), ma non sappiamo quanti di questi attivino effettivamente la copertura.

2. L’evidenza economica: Se non abbiamo le ‘teste’, abbiamo però gli importi, che ci permettono una deduzione importante. Sappiamo che i fondi di tipologia B hanno erogato 713 milioni di euro nel 2022 per assistenza odontoiatrica. La sproporzione: Se confrontiamo questi 713 milioni con la spesa sanitaria privata out-of-pocket complessiva (che ammonta a oltre 40 miliardi di euro totali, di cui l’odontoiatria rappresenta la voce di spesa familiare più alta, pari a 28,1 euro mensili medi), appare evidente che la capacità di intermediazione è ancora limitata. Questo suggerisce che una vasta parte dei 16 milioni di iscritti, pur avendo una copertura teorica, continui a pagare il dentista di tasca propria, alimentando quel fenomeno di ‘non-take-up’ integrativo che abbiamo descritto.

L’analisi che conclusioni propone? Più SSN? Più privato? Come tutelare gli altri 40 milioni di italiani che non hanno sanità integrativa?

Le conclusioni della ricerca superano la dicotomia ideologica ‘pubblico vs privato’, proponendo un modello di sinergia operativa basato su tre evidenze emerse dallo studio:

1. L’efficienza della Sanità Integrativa (Il Secondo Pilastro): La ricerca dimostra che i fondi non sono un nemico del SSN, ma un alleato necessario. In un contesto in cui la spesa pubblica odontoiatrica è marginale, i fondi rendono la spesa privata ‘più efficiente’ e sostenibile. Canalizzando risorse collettive (come i 713 milioni annui citati), essi permettono l’accesso a cure costose (es. implantologia) che il SSN non potrebbe comunque garantire a tutti per ragioni di bilancio.

2. La risposta per gli ‘altri 40 milioni’ (Effetto Redistributivo): Come tutelare chi non ha il fondo? La risposta sta nell’alleggerimento del SSN. Se la sanità integrativa assorbe efficacemente la domanda dei lavoratori attivi, si riduce la pressione sulle liste d’attesa pubbliche. Questo genera un beneficio indiretto per pensionati, disoccupati e fragili, che troverebbero nel pubblico (rafforzato e focalizzato su prevenzione e cure essenziali) un accesso più agevole. Inoltre, le interviste evidenziano come la logica mutualistica dei fondi possa estendersi per coprire rischi ad alto impatto (es. odontoiatria domiciliare per non autosufficienti) altrimenti insostenibili per il singolo.

3. Il ruolo del Welfare Aziendale come ‘Sportello Unico’: Infine, proponiamo il welfare aziendale non solo come benefit, ma come strumento di ‘alfabetizzazione sanitaria’. I piani di welfare devono diventare il punto di snodo per combattere la povertà informativa, orientando il lavoratore tra le opportunità del pubblico e quelle del fondo, riducendo quel non-take-up che oggi lascia scoperte troppe famiglie.

C’è una curiosità anagrafica: quanto e come ci si rivolge al dentista nel corso della vita?

La ricerca delinea una ‘curva della vulnerabilità’ molto chiara che risponde alla sua curiosità con dati preoccupanti. L’accesso alle cure non è lineare, ma presenta fratture generazionali dovute alla struttura del nostro sistema di welfare misto:

1. Il picco della rinuncia (La fascia critica): Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la maggiore frequenza di rinuncia alle prestazioni sanitarie non si registra solo nell’estrema vecchiaia, ma tocca il suo apice nella fascia 55-59 anni (11,1%), seguita dagli over 75 (9,8%). È un’età critica in cui spesso si esce dal mercato del lavoro o si hanno redditi ridotti, ma i bisogni di salute aumentano.

2. Il ‘buco’ nella copertura dei Fondi: La nostra mappatura ha svelato una protezione asimmetrica. Mentre il 54% dei fondi analizzati estende le coperture ai figli dei dipendenti (proteggendo quindi i giovani), solo 1 fondo su 44 (Cassa Cadiprof) prevede esplicitamente l’estensione ai genitori anziani. Questo crea un vuoto di tutela proprio quando la fragilità aumenta.

3. Il paradosso dell’anziano: Gli over 65 si trovano in una ‘terra di mezzo’: esclusi dalle tutele pubbliche odontoiatriche (spesso riservate agli under 14 o agli indigenti) e spesso espulsi dai fondi sanitari legati al contratto di lavoro attivo. Il risultato è che il 19,6% degli over 65 rinuncia o ritarda le cure.

4. Le prospettive: La ricerca suggerisce però una strada, emersa dalle interviste: l’adozione di modelli mutualistici per la copertura dei ‘grandi rischi’ della terza età, come l’odontoiatria domiciliare per i non autosufficienti, oggi quasi assente ma fondamentale per il futuro demografico del Paese.

Marco Barbieri

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