Salute e assistenza

06 Marzo 2019

C.R.E.A. Sanità presenta il 14° Rapporto

Open Innovation

C.R.E.A. Sanità dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” lo scorso 23 gennaio ha presentato a Roma il 14° Rapporto Sanità, dal titolo: “Misunderstandings”

Articolo di approfondimento di Maria Di Lorenzo apparso su blog Mefop. Il 23 gennaio 2019 Il Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (C.R.E.A. Sanità) dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ha presentato a Roma il 14° Rapporto Sanità, dal titolo: “Misunderstandings”.

Di seguito le evidenze più significative emerse dall’indagine.

Aspettativa e qualità di vita della popolazione italiana

L’aspettativa di vita della popolazione Italiana, pari a 85,6 anni per le donne e 81,0 per gli uomini, si conferma più elevata rispetto alla media Europea (+5,7 anni rispetto ai paesi UE).

Sembra permanere il divario tra settentrione e meridione, con una differenza media di oltre 1 anno di vita a sfavore del mezzogiorno, anche se tale gap sembra lentamente ridursi.

Tutte le regioni italiane, comprese quelle del sud, registrano un’aspettativa di vita maggiore rispetto al resto dei paesi Europei con uno sviluppo economico comparabile: con una spesa sanitaria pro-capite spesso inferiore, il nostro sistema appare performare meglio e garantire ottimi esiti aggregati di salute e salvaguardia della popolazione.

Aspettativa di vita a 65 anni e spesa sanitaria pro-capite

In controtendenza rispetto agli ultimi anni, anche gli indicatori sull’aspettativa di vita in buona salutesembrano evidenziare valori superiori rispetto alla maggior parte dei paesi europei.  La speranza di vita in buona salute alla nascita si attesta a 67,6 anni per gli uomini e 67,2 anni per le donne (rispettivamente 3,6 anni e 3,0 anni in più rispetto alla media UE), quella a 65 anni è pari a 10,4 anni per gli uomini e 10,1 per le donne, contro una media UE pari a 9,8 per i primi e 10,1 per le seconde.

Il finanziamento della spesa sanitaria

In tutti i paesi UE il settore pubblico rappresenta la principale fonte di finanziamento della spesa sanitaria corrente, in Italia circa il 74%, ancora lontana dai livelli dei paesi UE- Ante 1995 (80,5%) e più vicina ai livelli dei paesi UE- Post 1995 (72,2%). Tale de-finanziamento, pur avendo generato un impatto positivo sul deficit, ha avuto indubbiamente effetto sull’equità del sistema e sui bilanci delle famiglie.

Il 79% delle famiglie italiane ha effettuato spese per consumi sanitari, in forte crescita rispetto al 58% del 2013; alla maggior frequenza di accesso è associato un aumento della spesa totale ma una riduzione della spesa media effettiva pro capite (-1.2% rispetto all’anno precedente).

Cresce il numero di famiglie che hanno dichiarato di disporre di una polizza assicurativa sanitaria, pari al 4,1% dei nuclei familiari residenti.

Considerando solo le famiglie che hanno sostenuto una spesa per consumi sanitari, rispetto al 2015 si è assistito ad una riduzione dell’incidenza media sui consumi totali (dal 5.4% al 5.2%), dato legato alle disponibilità economiche familiari. Suddividendo tale popolazione per quintile di consumo si osserva che la riduzione dell’incidenza media è legata esclusivamente ai soggetti appartenenti al primo quintile mentre risulta sostanzialmente stabile o in aumento per le famiglie appartenenti agli altri quintili.

Altra variabile che incide sui consumi sanitari è l’area geografica di residenza, se infatti la spesa media è massima al nord-ovest (2176,1 €) è minima al mezzogiorno (1269,9 €). Anche la copertura mediante polizze assicurative si riduce vertiginosamente man mano che ci si avvicina alle regioni meridionali del paese (6,0% Nord-Est, 5,7% Nord –Ovest, 5,2% Centro e 0,2% Sud).

Il disagio economico per le spese sanitarie, combinazione di impoverimento per consumi sanitari e “nuove” rinunce per motivi economici, è sofferto dal 5,5% delle famiglie, ed è significativamente superiore nel Sud del Paese (7,9% delle famiglie). L’incidenza del fenomeno di impoverimento per spese sanitarie si è paradossalmente ridotto, tale dinamica è sostanzialmente riconducibile all’effetto della diminuzione della spesa pro-capite media effettiva delle famiglie associata all’aumento dei consumi totali.

Il fenomeno delle “rinunce”

Il dato relativo al fenomeno dell’impoverimento è parzialmente distorto da quello delle rinunce. Tale fenomeno, com’è lecito aspettarsi, risulta più accentuato per le famiglie appartenenti ai quintili di consumo più basso, che spendono prevalentemente per farmaci ed esami diagnostici, ma non ne sono esonerate neanche quelle con maggiori capacità di consumo.

A livello regionale si riscontrano valori rilevanti in Calabria (9,1%), Umbria (8.9%), Sardegna (8.5%) e valori minimi in Trentino alto Adige (1.3%), Valle d’Aosta (2%) e Piemonte (2.3%)

Quota rinunce famiglie italiane

La prevenzione

Secondo le stime fornite dall’Oecd nel 2016 l’Italia ha assegnato ai programmi di prevenzione circa il 4,7% della spesa pubblica corrente, in leggera diminuzione rispetto al 2015 ma comunque in crescita nell’ultimo decennio. Confrontando il dato rispetto agli altri paesi Europei si evince che nel 2016 l’Italia è seconda solo al Regno Unito per quanto riguarda la quota percentuale rispetto alla spesa pubblica corrente.

In termini assoluti però, la situazione non sembra così confortante, l’Italia risulta infatti essere solo all’ottavo posto con una spesa pro-capite di 87,4€, appena al di sotto della media dei paesi UE- Ante 1995 ma al di sopra di quella legata ai paesi UE- Post 1995, pari a 17,5 € pro-capite.

Spesa pubblica per programmi di prevenzione in Europa

Per quanto riguarda gli esiti delle politiche di prevenzione, le criticità riguardano soprattutto l’eccesso ponderale e l’insufficiente attività fisica. L’Italia ricopre una buona posizione per quanto riguarda l’obesità, il consumo di alcol e un posto intermedio per quanto riguarda il consumo di tabacco. In relazione alle vaccinazioni si è assistito ad un progressivo calo delle coperture vaccinali dal 2013, che ha determinato una copertura media inferiore alla soglia del 95% per raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge”.

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