Massimo Bottelli, Direttore Settore Lavoro, Welfare e Capitale Umano di Assolombarda, l’Associazione degli industriali di Milano, Monza e Brianza e Lodi, in questa intervista affronta un po’ tutti i temi dell’evoluzione di questo mercato in costante espansione.
Se ne parla tanto, se ne scrive un po’ dappertutto, “ma sul welfare aziendale manca ancora una adeguata e opportuna informazione, continua, autorevole e tempestiva sia per le imprese, sia per i lavoratori”. Ne è convinto Massimo Bottelli, Direttore Settore Lavoro, Welfare e Capitale Umano di Assolombarda: “La crescita è esponenziale. L’interesse delle aziende si fa ogni giorno più acceso. La leva del welfare aziendale è articolata, non riguarda solo i benefit, o la trasformazione del premio di risultato, ma comporta tutte le forme organizzative che consentono un miglior equilibrio tra vita e lavoro. Come lo smart working”.
Si tratta di uno sviluppo che deve essere guidato o che deve essere semplicemente assecondato?
I servizi sviluppati dal welfare aziendale, così come le forme di smart working, richiedono una partecipazione attiva dell’impresa e dei lavoratori. Un piano di welfare aziendale per ottenere successo deve partire dall’ascolto dei bisogni e delle domande dei lavoratori. La difficoltà di fare una adeguata analisi della situazione, soprattutto nelle Pmi, dove delle volte non esiste una funzione di Hr, induce a scegliere i buoni spesa o i buoni benzina come unico strumento di flexible benefit. Analogamente lo sviluppo dello smart working richiede un impegno forte e attivo del management aziendale. Lo smart working, infatti, è uno strumento prezioso per aumentare la produttività in azienda e per assecondare le esigenze di flessibilità dei lavoratori, così come una modalità che aiuta l’ambiente, riducendo spostamenti ed inquinamento da trasporto. Ma serve la capacità di dare obiettivi ai dipendenti e una altrettanto adeguata competenza nella valutazione dei risultati.
Lo smart working rappresenta uno dei mutamenti più radicali dell’organizzazione del lavoro; così come, d’altro canto, i servizi di welfare aziendale si sono dimostrati uno dei volani più efficienti per migliorare il rapporto tra azienda e dipendenti; molte imprese ci scommettono: i dipendenti sono i primi testimonial dell’azienda…
Verissimo. Io vedo solo positività dallo sviluppo del welfare aziendale. Non condivido le preoccupazioni che qualcuno manifesta: il welfare aziendale non danneggia il welfare universalistico e pubblico.
Eppure c’è chi come il presidente del Cnel, Tiziano Treu, ma anche come il professor Luca Pesenti nel suo ultimo libro, aveva eccepito qualcosa sul costo per la fiscalità generale e per talune scelte di benefit ludici…
Credo che vada anche posta adeguata attenzione alla capacità generativa del welfare aziendale. Le società di servizi che assistono le aziende nella consulenza, o nella costruzione e nella gestione delle piattaforme, danno occupazione a giovani e donne. Producono fatturato, e nuova tassazione per lo Stato.
È la tesi sviluppata dal presidente di Aiwa, Emmanuele Massagli. Il welfare aziendale genera sviluppo. Ma non sono troppi 92 provider per questo mercato?
La concorrenza fa bene. E l’occupazione cresce.
Che cosa servirebbe a livello normativo per mantenere lo sviluppo del mercato del welfare aziendale?
Con la legge di bilancio del 2016 è cambiato tutto. Bisogna riconoscere l’impegno profuso da Tommaso Nannicini e da Marco Leonardi…
Proprio Leonardi si augurava che almeno non si perdessero le novità positive introdotte nel 2016.
Ha ragione. Sarebbe importante conservare l’esistente, a livello normativo. Magari con un supplemento di rassicurazione, che la strada imboccata non verrà cambiata. Inoltre, sarebbe opportuno consentire l’utilizzo del credito welfare sia per favorire lo sviluppo della previdenza complementare, magari superando il contributo di solidarietà obbligatorio che penalizza questa destinazione, sia creando nuove opportunità per sviluppare welfare territoriale, mettendo in contatto, come vasi comunicanti, le opportunità di servizio generate nelle imprese e la possibilità di convertire quote di credito welfare, a favore della comunità territoriale. In questo potrebbe esserci un ruolo nuovo e attivo anche del Terzo Settore.
È una strada che Assolombarda ha già intrapreso?
Sì. Ad esempio, pochi giorni fa abbiamo siglato un accordo con le organizzazioni sindacali per stabilire un collegamento con l’Azienda speciale consortile servizi alla persona di Magenta. Crediamo che l’attento monitoraggio sul territorio degli strumenti di welfare esistenti nel tessuto produttivo consenta di sviluppare sinergie che creano valore aggiunto, rendendo possibile la fruizione di servizi da parte di cittadini del territorio medesimo, in una logica di valorizzazione dell’esistente e di ottimizzazione delle risorse.
Alle aziende associate ad Assolombarda quali servizi assicurate per promuovere la cultura del welfare aziendale?
Cultura e servizi insieme. Abbiamo un team di consulenza sindacale, previdenziale e fiscale, attraverso il quale c’è anche la possibilità di accedere, tramite la nostra società di servizi, a una delle quattro piattaforme di welfare con cui abbiamo stipulato una convenzione.
Un’ultima domanda su uno dei contratti nazionali aperti più “importanti” non foss’altro per il numero delle aziende e dei lavoratori coinvolti: i sindacati dei metalmeccanici hanno manifestato l’intenzione di realizzare una piattaforma nazionale per erogare i servizi di welfare aziendale. Ci sono stati malumori tra le imprese, che si vedrebbero costrette a rivolgersi a un nuovo player di mercato?
Le trattative negoziali si sono appena aperte. Siedo nella delegazione di Federmeccanica e quindi non mi sembrerebbe corretto anticipare commenti e considerazioni.
Marco Barbieri
Le nuove dinamiche del welfare aziendale: l’integrazione dei public benefit
Agosto 28, 2024