Presentata la terza edizione dell’indagine Itinerari Previdenziali sulle politiche di investimento degli investitori istituzionali italiani. La sostenibilità è componente essenziale di tutte le attività umane che orienta lo sviluppo futuro del Paese
In crescita l’attenzione verso finanza SRI e integrazione dei criteri ESG di enti previdenziali, Fondazioni di origine Bancaria e comparto assicurativo, coinvolto per la prima volta nella survey a partire da quest’anno: le politiche di investimento sostenibile vengono perseguite ricorrendo a strategie sempre più “attive” e orientate soprattutto al settore energetico; in crescita anche la Silver Economy
Si mantiene alta la sensibilità degli investitori istituzionali italiani nei confronti della sostenibilità ambientale e sociale: più della metà (il 56%) dei rispondenti già adotta politiche d’investimento sostenibile, il 97% di quanti ancora non lo fanno intende includere o incrementare in futuro strategie ESG. È questo quanto emerge dal Quaderno di Approfondimento ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. La redazione dell’indagine è stata possibile grazie al sostegno di: DPAM, Etica Sgr, NN Investment Partners, Schroders.
Con l’obiettivo di scattare una fotografia qualitativa e quantitativa del processo di diffusione delle strategie di sostenibilità e integrazione dei criteri ESG nei portafogli degli istituzionali italiani, la pubblicazione muove le sue premesse dalla somministrazione di una survey di 49 domande, volte a indagare pianificazione e modalità di attuazione delle politiche di investimento sostenibile da parte dei player istituzionali. Sono 79 gli enti indagati nel 2021, per un totale patrimoniale, al netto delle Compagnie di Assicurazione, di oltre 182 milioni di euro, pari a circa il 75% dei patrimoni finanziari totali degli investitori previdenziali e fondazionali del Paese: nel dettaglio, si tratta di 19 Fondi Pensione Negoziali, 16 Fondi Pensione Preesistenti, 14 Casse di Previdenza, 16 Fondazioni di origine Bancaria e 14 Compagnie.
Malgrado rispetto all’indagine 2020 diminuisca la percentuale di enti che applicano i criteri ESG a oltre il 75% del patrimonio (il 37%), dal questionario emerge una crescente e generalizzata attenzione nei confronti della ricerca di rendimenti e una miglior gestione dei rischi anche attraverso l’adozione di politiche socialmente responsabili. Stabili, infatti, dopo 3 edizioni della ricerca, gli obiettivi prefissati:
- gli istituzionali italiani vogliono soprattutto contribuire allo sviluppo sostenibile (92%)
- diffusa anche la volontà di affrontare in modo più efficace i rischi finanziari (77%)
- migliorare la propria reputazione (38%).
Per quanto riguarda le modalità con cui le politiche d’investimento sostenibile vengono implementate, l’indagine offre un dettaglio sia delle strategie utilizzate sia delle asset class a cui i criteri ESG vengono applicati maggiormente. «La strategia più adottata è quella delle esclusioni (67%), di poco superiore al 2020 e decisamente cresciuta rispetto al 2019 – spiega Giovanni Gazzoli, che ha seguito l’indagine per il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – ma la più grande novità è rappresentata dall’impact investing, scelto dal 48% degli enti a fronte del 31% del 2020 e del 23% del 2019. Investimenti tematici e best in class seguono con il 44%. Le strategie in calo, invece, sono le convezioni internazionali, scese dal 54% al 37%, e l’engagement, adottate dal 33%, ossia meno sia del 2020 che del 2019».
Scendendo nel dettaglio, emerge che le esclusioni prendono di mira soprattutto prodotti collegati al mercato delle armi (89%), ma sono molti anche gli enti che escludono investimenti riconducibili a pornografia, tabacco o gioco d’azzardo. Per quanto riguarda la best in class, vengono premiate soprattutto le eccellenze in ambito energetico, e in particolare il contrasto alle emissioni di anidride carbonica; simile anche lo scopo degli investimenti tematici, che mirano soprattutto a promuovere efficienza energetica e a contrastare il cambiamento climatico. Ma non è solo questione di energia: cresce infatti l’attenzione al sociale, soprattutto in ottica di invecchiamento demografico, con Silver Economy e RSA al centro degli investimenti. Social e green bond (62%), così come social housing (55%) e microfinanza (34%), sono tra gli ambiti preferiti dagli investitori che ricorrono all’impact investing. Un’ultima nota relativa all’engagement: cresce l’utilizzo di un approccio hard, che prevede interventi in assemblea o l’esercizio del diritto di voto, salito dall’8% al 22%, a dimostrazione di una maggiore volontà di monitorare e condizionare l’esito dei propri investimenti.
In chiave futura, l’indagine offre poi qualche spunto per prevedere la traiettoria degli anni a venire. «Traiettoria – spiega Gazzoli – che dovrebbe tendere verso l’alto: infatti, il 90% dei rispondenti pensa che COVID-19 abbia accelerato investimenti sostenibili e socialmente responsabili, anche perché secondo il 51% dei soggetti intervistati la componente ESG ha mitigato il rischio in questo periodo pandemico. Si spiega allora “facilmente” perché il 77% degli investitori incrementerà l’esposizione verso gli investimenti sostenibili, soprattutto mediante investimenti tematici (57%), impact investing (47%) ed esclusioni (47%). E a giovarne dovrebbero essere soprattutto il settore delle energie rinnovabili e, a sorpresa (ma non per tutti), la Silver Economy che, se associata a RSA e healthcare, fa intuire come la pandemia abbia risvegliato l’attenzione sulle grandi carenze sul tema assistenza sanitaria e, in particolare, sull’assistenza alla popolazione over 65».
I margini di crescita e implementazione sono quindi ancora ampi ma, nel complesso, il bilancio può già dirsi positivo. «Del resto è evidente – ha commentato Alberto Brambilla, Presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – come la sostenibilità sia ormai una componente essenziale di tutte le attività umane, nonché l’obiettivo che, ancor di più alla luce dell’esperienza pandemica, deve orientare lo sviluppo futuro del Paese e del mondo intero, nel pieno rispetto dei diritti ambientali, sociali e di governance». In questo senso devono muoversi e già si stanno muovendo anche gli investitori istituzionali italiani che, lungo questa direttrice, hanno un’importante occasione per sostenere la “ricostruzione” del Paese nel post COVID-19. Cura dell’ambiente, efficientamento energetico, innovazione digitale, infrastrutture sociali e abitative sono del resto tra gli ambiti già individuati come centrali per il PNRR: «I fondi nazionali ed europei per la transizione ecologica e digitale, uniti agli investimenti dei player istituzionali orientanti alla finanza SRI – ha chiosato il Prof. Brambilla – potrebbero auspicabilmente rappresentare un’efficace formula di “collaborazione pubblico-privato” in grado di consentire il rilancio dell’economia italiana nel prossimo decennio».
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