Pubblicata oggi la relazione annuale COVIP: crescita degli iscritti del 5,4%, 2,5 milioni dei quali non versano contributi
Un anno nero per i rendimenti della previdenza complementare. Le turbolenze dei mercati finanziari hanno inciso sui risultati di gestione dei Fondi pensione nel 2022, ma anche in un orizzonte temporale più lungo – gli ultimi dieci anni – hanno portato le performance appena in linea con i rendimenti del Tfr.
È uno degli elementi che emergono dalla Relazione annuale della Covip, la commissione di vigilanza sui Fondi pensione, illustrata oggi, 7 giugno, a Montecitorio, dalla presidente facente funzione, Francesca Balzani. A fine 2022, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 9,2 milioni, in crescita del 5,4% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 36,2% sul totale delle forze di lavoro. I contributi incassati superano di poco i 18 miliardi. Bisogna precisare che 2,5 milioni degli iscritti non versano contributi. I fondi negoziali contano 3,7 milioni di iscritti, quasi 1,8 milioni sono gli iscritti ai fondi aperti e 3,5 milioni ai PIP “nuovi”; circa 650.000 sono gli iscritti ai fondi preesistenti.
Le voci di uscita per la gestione previdenziale ammontano a 11,2 miliardi di euro. Le prestazioni pensionistiche sono state erogate in capitale per 4,6 miliardi di euro e in rendita per 440 milioni di euro. I riscatti sono pari a 2 miliardi di euro e le anticipazioni a 2,3 miliardi di euro. Nell’anno sono stati erogati circa 1,6 miliardi di euro di rendite integrative temporanee anticipate (RITA), per lo più concentrati nei fondi pensione preesistenti. La sostanziale stabilità dei flussi di nuovi iscritti e di contributi ha confermato il fondamentale dualismo del sistema. Esso, infatti, accoglie prevalentemente uomini, di età matura, residenti nel Nord del Paese, inseriti in imprese ragionevolmente solide e in grado di dare continuità ai flussi di finanziamento. Donne, giovani, lavoratori del Sud del Paese continuano invece a essere meno presenti. Ciò significa che proprio le figure meno forti, per le quali sarebbe più pressante la necessità di un futuro previdenziale più solido fanno fatica a entrare nel mondo della previdenza complementare.
Gli uomini sono il 61,8% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73% nei fondi negoziali), nel solco di quel gender gap che si è già manifestato negli anni scorsi. Si conferma anche un gap generazionale: la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 48,9% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 32,3% ha almeno 55 anni e solo il 18,8% è sotto i 35 anni. La situazione è sostanzialmente non dissimile da quella rilevata cinque anni fa. Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57,1%).
Le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 205,6 miliardi di euro, in calo del 3,6% rispetto all’anno precedente a causa dell’andamento negativo dei mercati finanziari: un ammontare pari al 10,8% del Pil e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. Al patrimonio dei Fondi si aggiunge quello delle Casse previdenziali private o privatizzate: 107,9 miliardi di euro, in aumento di 7,2 miliardi rispetto all’anno precedente (+7,1%). Dal 2011 al 2021 tali attività sono cresciute complessivamente di 52,2 miliardi di euro, pari al 93,7%.
In totale la Covip vigila su un patrimonio di 313,5 miliardi di euro. Solo la minima parte di questo “tesoro” viene investito in azioni o obbligazioni emesse da imprese italiane: meno del 3% del totale. Mentre gli investimenti immobiliari dei Fondi pensione sono ormai residuali (poco meno del 2% del patrimonio) resta alta la componente immobiliare per le Casse (il 18,3% del totale).
Nelle prospettive di lungo periodo della previdenza complementare è la demografia che si impone come principale fattore strutturale di condizionamento. Il nostro Paese è caratterizzato da un processo di invecchiamento tra i più rapidi a livello internazionale; tale tendenza demografica è destinata a incidere significativamente sulle prospettive di crescita del Paese in termini di prodotto complessivo, che è anche alla base della rivalutazione nel tempo dei contributi versati alla previdenza pubblica. Sono i giovani a rischiare di essere penalizzati, in quanto sono proprio tra le categorie di lavoratori che fanno più fatica a partecipare ai fondi pensione che, verosimilmente, potrebbero garantire loro rendimenti più elevati della rivalutazione che è ragionevole attendersi dai contributi versati alla previdenza pubblica.
Un paradosso che si lega alla natura del nostro sistema previdenziale, che impone una contribuzione obbligatoria altissima, che finisce per drenare molte delle risorse che potrebbero essere convogliate nei Fondi pensione.
La crescente incidenza di carriere discontinue e frammentate, spesso accompagnate da curve salariali piatte, evidenzia che chi più avrebbe bisogno di un’integrazione del reddito pensionistico è meno in grado di partecipare alla previdenza complementare. In questo contesto gli attuali incentivi fiscali andrebbero rimodulati in funzione del reddito degli iscritti, eventualmente prevedendo un intervento diretto dello Stato a sostegno di determinate categorie, e in particolare dei più giovani. Andrebbe inoltre valorizzata la possibilità – oggi prevista solo nella fase di ingresso nel mercato del lavoro – di riportare in anni successivi la deducibilità dei contributi non goduta in un determinato periodo di imposta.
Altri interventi di tipo non finanziario potrebbero riguardare il disegno del sistema previdenziale. Per esempio, pur osservando che i rendimenti di lungo periodo delle linee azionarie di tutte le tipologie di forme pensionistiche hanno realizzato rendimenti soddisfacenti, tali linee sono poco diffuse tra gli iscritti, anche tra quelli più giovani, che avrebbero un orizzonte temporale in grado di assorbire eventuali fasi di mercato negative. La rimodulazione dei benefici fiscali a favore dei lavoratori più deboli e la diffusione di opzioni di investimento di tipo life-cycle da definire come default, sarebbero essenziali anche nella prospettiva di riproporre una nuova iniziativa nazionale di raccolta delle adesioni tramite meccanismi di silenzio-assenso. In tale occasione, andrebbero effettuate campagne informative e di educazione previdenziale ben strutturate e coerenti con il disegno complessivo dei meccanismi di scelta proposti.
“Altro tema, in relazione al quale il disegno degli schemi pensionistici assume rilievo – si legge nel comunicato Covip – è quello della fase di erogazione delle prestazioni previdenziali, una volta raggiunta l’età di pensionamento. Potrebbe essere esplorata la possibilità di porre in essere iniziative utili a favorire la proposta di prestazioni previdenziali che almeno in parte contribuiscano, diversamente dalla mera erogazione del capitale accumulato, alla mitigazione del rischio di longevità. In particolare, in alternativa totale o parziale alle rendite vitalizie immediate, potrebbero essere considerate erogazioni programmate in cifra fissa, ovvero rendite vitalizie differite a partire solo da un’età molto avanzata”.
Marco Barbieri
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