Fondazione Progetto Itaca ha inviato una lettera al Ministro per le disabilità Alessandra Locatelli e al Capo di Gabinetto del Ministero Maurizio Borgo per chiedere che la disabilità psichiatrica venga considerata alla pari delle altre forme di disabilità. Intervista a Felicia Giagnotti, Presidente di Fondazione Progetto Itaca
Iniziamo da una ricognizione generale: le certificazioni di disabilità non sono tutte uguali, cosa definisce e cosa manca a quella di disabilità psichiatrica?
La disabilità psichiatrica è inserita all’interno delle categorie di disabilità ed è accompagnata da un certificato medico che ne definisce il livello a seguito di indagini specifiche. La legge 68/99 regola l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, tra cui quella psichiatrica. Le aziende che fossero interessate a inserire soggetti con disabilità possono far riferimento a delle graduatorie; piccole e medie imprese con più di 15 lavoratori sono obbligate per legge all’assunzione di un disabile, in caso contrario devono pagare delle penalità.
Nel dettaglio, com’è la situazione in merito all’inserimento nel mondo del lavoro?
L’inserimento lavorativo di una persona con disagio psichiatrico non è paragonabile ad altri tipi di inserimento; ha una sua specificità. È una malattia biopsicosociale con una componente biologica, psicologica e sociale. Una persona con una problematica mentale deve essere avviata al lavoro con un percorso adeguato. A livello legislativo è riconosciuta come disabilità ma non è rappresentata nell’Osservatorio delle disabilità, esistente presso il Ministero per la disabilità. Negli anni passati, Progetto Itaca ha affrontato il problema dell’inclusione lavorativa di persone con disabilità psichiatrica attraverso la sinergia con aziende amiche della nostra associazione motivate a sostenerci nell’inserimento.
Come si articola questo vostro intervento?
Le persone, specialmente giovani, che frequentano il nostro Club Itaca (Centro di inclusione sociale e di inserimento lavorativo sul modello americano di Clubhouse International) vengono accompagnate gradualmente da un tutor che prende contatto con le aziende, ne individua le necessità e propone i soci della Clubhouse accompagnandoli nei rapporti con l’azienda e nel progressivo inserimento. Il tutoraggio è un servizio fatto alle aziende per assicurare sia l’adeguata preparazione del nuovo paziente/lavoratore che la buona esecuzione del lavoro. Abbiamo costituito inoltre negli anni un centro di lavoro a distanza denominato Job station. I giovani lavorano coi computer svolgendo prevalentemente attività di data entry sempre seguiti da tutor. La persona inserita ha un regolare contratto di lavoro con l’azienda da cui viene pagato come un normale lavoratore. In questi 15 anni, solo a Milano, siamo arrivati alla stipula di più di 250 contratti di cui numerosi a tempo indeterminato. Avere un lavoro significa conquistare la propria autonomia e sentirsi utili, riaffermare la propria immagine di persona e la propria autostima.
Cosa chiedete, attraverso la lettera da voi presentata, al Ministro per le disabilità Alessandra Locatelli e al Capo di Gabinetto del Ministero Maurizio Borgo?
La malattia mentale deve essere inserita in tutti i tavoli di lavoro in cui si legifera sulla e per la disabilità. Chiediamo di entrare a fare parte dell’Osservatorio delle disabilità, e di poter contribuire alla riforma della legge 68/99 messa in programma dalla Ministra delle disabilità Alessandra Locatelli in collaborazione con il Ministro del lavoro.
Fondazione Progetto Itaca, forte del suo operato, come e perché è arrivata a questa proposta?
Da sempre constatiamo che la disabilità psichiatrica è vittima di uno stigma sociale che considera i disturbi psichici come una malattia inguaribile e pericolosa. Progetto Itaca da anni è impegnata per combattere tali pregiudizi attraverso una comunicazione corretta sulla malattia mentale e la sensibilizzazione della società tutta. Grazie ai progressi delle neuroscienze, della farmacologia, la malattia mentale oggi può e deve essere curata allo scopo di fornire alla persona malata la concreta possibilità di reintegrarsi e reinserirsi nella vita sociale. Le nostre Clubhouse sono lo strumento attraverso il quale una persona malata, ma ben consapevole e ben seguita dagli specialisti della cura può uscire dall’isolamento e ristabilire una vita di relazione. All’interno della Clubhouse si organizzano numerose attività culturali, ricreative, professionalizzanti, per l’acquisizione di competenze in vista di un possibile inserimento lavorativo. Si impara anche a fare la spesa, cucinare, mettere in ordine per l’acquisizione di una propria autonomia personale.
Ad oggi, pensate ci sia una rete di associazioni ed imprese capace di garantire la dovuta tutela affinché l’inserimento lavorativo delle disabilità non sia solo un fatto, o un numero, ma un reale percorso di cambiamento?
Il nostro è un modello strutturato ed efficace come si evince dai dati da noi raccolti. Vorremmo per questo essere ascoltati come associazione del Terzo Settore il cui operato sul territorio è ben riconosciuto.
Lucia Medri
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Novembre 18, 2024