22 Agosto2023

UE approvata nuova direttiva sulla trasparenza: decade il segreto retributivo

Intesa Sanpaolo

La nuova direttiva sulla parità salariale e sulla trasparenza retributiva, approvata dal Parlamento Europeo il 30 marzo 2023, renderà obbligatoria per le aziende che cercano nuove risorse l’indicazione della RAL (retribuzione annua lorda) direttamente negli annunci di lavoro entro i prossimi tre anni. Reverse ha condotto un’indagine su un campione di 50 annunci di lavoro per ogni stato in cui lavora

Degli annunci presi a campione per l’Italia da Reverse, azienda internazionale di HR e Recruiting, solo il 4% riporta la retribuzione, la stessa percentuale la si ritrova in Spagna. Leggermente più virtuosa la Francia, che presenta la RAL esplicitata nel 6% degli annunci selezionati, mentre il fanalino di coda è rappresentato dalla Germania, in cui l’indicazione del salario non è presente in nessuno degli annunci analizzati.

“In Italia siamo abituati a pensare che tutto il resto del mondo sia meglio di noi, almeno dal punto di vista economico e lavorativo – commenta Daniele Bacchi, CEO e Co-Founder di Reverse – In realtà la nostra percezione è spesso distorta. Abbiamo voluto condurre questa indagine proprio per dimostrare, attraverso i dati, che la trasparenza salariale è purtroppo una questione delicata e importante che interessa tutta Europa e non solo il nostro Paese”.

“Non mi stupisce che in Germania la percentuale sia lo 0%. – Aggiunge Federica Boarini, Head of International Development di Reverse – Si tratta di un Paese che culturalmente presenta un’elevata difficoltà ad accettare il cambiamento, oltre che a rendere pubblici dati come gli stipendi. Inoltre, ritengo abbia a che fare anche con lo stato del mercato del lavoro e con una grande difficoltà a trovare profili. Nel senso che qualora le aziende dovessero pubblicare un annuncio con una RAL non perfettamente allineata al mercato, ridurrebbero ulteriormente le possibilità di trovare persone. In questo Paese non è usanza chiedere la retribuzione attuale ai candidati, bensì la retribuzione desiderata. E da questa partire come base di contrattazione. In Italia invece è molto più comune domandare la retribuzione attuale e poi contrattare al rialzo rispetto a quest’ultima”.

La nuova direttiva sulla parità salariale approvata dal Parlamento Europeo lo scorso 30 marzo si basa sul fatto che in Europa le donne, a parità di ruolo, nell’UE guadagnano in media il 13% in meno degli uomini, che, in termini pensionistici, si traduce in un gap di quasi il 30%. Questo divario è causato anche dal segreto retributivo, ossia dalla mancata dichiarazione della retribuzione all’interno degli annunci di lavoro che è sicuramente il punto introdotto dalla normativa di cui più si sta discutendo.

Ma non è l’unico. La stessa normativa prevede anche il divieto per le aziende di chiedere ai candidati, in nessuna fase della selezione, la RAL precedente, evitando così che possa essere presa come benchmark di riferimento.

Inoltre, chi si occupa di selezione e recruiting, dovrà fare in modo che sia le offerte sia i titoli professionali siano neutri sotto il profilo del genere e che le procedure di assunzione siano condotte in modo non discriminatorio.
Sempre in ottica di trasparenza, le aziende saranno obbligate a mettere a disposizione dei lavoratori una descrizione dei criteri utilizzati per definire la retribuzione e l’avanzamento di carriera, oltre a fornire loro le informazioni sia sul proprio livello retributivo individuale, sia su quelli medi dei colleghi con mansioni e ruoli di pari valore, con l’obiettivo di far valere, se necessario, il diritto alla parità retributiva.

Infine, le imprese con almeno 250 lavoratori dovranno rendere pubblici i dettagli relativi al divario retributivo tra uomini e donne, mentre alle organizzazioni e alle amministrazioni pubbliche di tutta Europa è richiesta una dichiarazione obbligatoria circa le proprie retribuzioni, e, qualora emergesse un divario superiore al 5%, sarà necessaria una rivalutazione salariale insieme ai rappresentanti dei dipendenti.

“Sebbene sia fortemente convinto della necessità di affrontare il fenomeno della disparità retributiva, ritengo anche che alcune delle misure previste, come il divieto di chiedere la retribuzione precedente, potrebbero non essere facilmente attuabili nel concreto – aggiunge Daniele Bacchi – Spesso infatti, in fase di selezione, lo stesso candidato presenta la necessità di esplicitare la sua retribuzione precedente per ottenere un significativo aumento. Poiché non esiste un mansionario globale che indichi quanto pagare le persone a seconda delle loro competenze, quando un’azienda chiede una retribuzione ai candidati in linea per una posizione, solitamente lo fa per capire quanto il mercato paga quelle determinate competenze. Pertanto, mentre accolgo con favore le iniziative volte a garantire la parità e la trasparenza, ritengo anche sia fondamentale valutarne attentamente l’efficacia e l’applicabilità nel mondo del lavoro reale, oltre a monitorarne i risultati nel tempo. Personalmente sono per un approccio più olistico e personalizzato nella valutazione dei singoli individui e delle loro contribuzioni alle aziende, che tenga conto delle sfide e delle dinamiche specifiche delle negoziazioni salariali”.

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