Secondo un sondaggio condotto su oltre 2000 manager, durante il colloquio di lavoro il 40% delle donne sono state interrogate sull’intenzione di avere figli in futuro o di essere già impegnate in famiglia nella cura di bambini piccoli. Gli esperti di legge avvisano che porre questo tipo di domande è discriminante e passibile di denuncia
Processi di selezione chiari, obiettivi descritti con coerenza, modalità trasparenti: è questo ciò che i candidati si auspicano di trovare durante i colloqui di lavoro e che consentirebbero alle aziende di attrarre talenti e di selezionare i profili migliori per il ruolo offerto. Ma non è sempre così e, spesso, chi è alla ricerca di un impiego si è sentito nel bisogno di giustificarsi per i “vuoti di carriera”, ossia quei periodi in cui, per svariati motivi, è capitato di non lavorare. Da una recente indagine, sembra che questo problema di doversi giustificare riguardi soprattutto le donne e l’origine sarebbe da ricondurre principalmente alle gravidanze e all’accudimento dei neonati.
Secondo un sondaggio condotto da People Management, portale di HR del Regno Unito punto di riferimento per i CIPD, su un campione di oltre 2.000 persone, due quinti delle donne senior manager (40%) sono state interrogate durante i colloqui di lavoro sull’intenzione di voler mettere al mondo dei figli in futuro o sul fatto di avere, al momento della selezione, figli piccoli di cui prendersi cura. I recruiter avrebbero indagato proprio sui “career break”, ma gli esperti hanno evidenziato che i datori di lavoro che pongono queste domande sono passibili di denuncia per discriminazione e molestie, ai sensi dell’Equality Act 2010. Sempre secondo lo stesso studio, solo il 18% delle donne che non ricoprono ruoli senior ha dichiarato di aver ricevuto le stesse domande durante il processo di assunzione in azienda. Il 38% delle donne intervistate, e che ha dovuto assentarsi dal lavoro con un intervallo di almeno sei mesi per la gravidanza, ha dichiarato che il motivo di questa assenza è stata la cura dei neonati. Mentre lo stesso motivo è stato causa di un’assenza superiore ai sei mesi per l’accudimento dei figli soltanto per l’11% degli uomini. Ben due terzi delle mamme lavoratrici ha affermato di aver dovuto rinunciare alla carriera professionale dopo aver avuto figli. Il 45% delle donne intervistate ha dichiarato che il tempo di pausa dovuto alla maternità si è rivelato prezioso e ha permesso di acquisire nuove competenze, come la capacità organizzativa e la gestione del tempo.
Ha spiegato alcune di queste dinamiche la dott.ssa Laura Tolosi, Communication Manager di Eudaimon: “La nostra mission è quella di supportare le aziende che vogliono creare un ambiente di lavoro inclusivo e positivo dove il singolo possa esprimere appieno il suo potenziale, a prescindere ovviamente dal genere. La maternità, e come il datore di lavoro la gestisce, rappresenta un importante momento di verifica di come e se l’azienda stia riuscendo a centrare il suddetto obiettivo. Io sono una manager e una mamma e nel mio lavoro supporto quotidianamente le aziende nel veicolare e nel comunicare ai dipendenti le iniziative e i benefici relativi al welfare. Dal mio particolare osservatorio, posso dire che informare la futura mamma rispetto a tutti i diritti che ha e avrà a seguito dell’arrivo dei figli, garantire e strutturare maggiore flessibilità nel percorso di rientro al lavoro e investire in servizi e soluzioni che permettano un prezioso e costante bilanciamento fra responsabilità lavorative e famigliari sono già risposte concrete ed efficaci a supporto di donne manager. Risposte ai timori più grandi, purtroppo spesso motivati, ovvero quelli di essere sostituite o demansionate dopo la prima gravidanza”.
Proseguendo sulle parole della dott.ssa Laura Tolosi, dallo studio emerge che il 40% delle madri occupate riferisce di aver bisogno di completare le attività lavorative al di fuori del normale orario. Secondo un ulteriore sondaggio condotto da Careering into Motherhood su oltre 2.000 mamme lavoratrici con figli di età inferiore ai 18 anni, il 92% ha dichiarato che il proprio datore di lavoro è ricettivo alle richieste di flessibilità, ma ci sono ancora situazioni di risposte negative alle richieste. Quasi 4 mamme lavoratrici su 10 (38%) non hanno chiesto alcun lavoro flessibile e il 46% ritiene che chiedere flessibilità abbia un impatto negativo sulle future opportunità di promozione e carriera. I modelli di lavoro flessibile innovativi, come ad esempio la settimana lavorativa di quattro giorni, possono diventare un’importante opzione per migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavoro. Lo conferma anche People Management che ha riferito che il 92% delle aziende che hanno sperimentato la prova settimanale di quattro giorni lavorativi ha deciso di continuare ad adottarla, visti gli incredibili risultati ottenuti nel Regno Unito.
Le nuove dinamiche del welfare aziendale: l’integrazione dei public benefit
Agosto 28, 2024